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Temi: La Spiritualità Ignaziana







venerdì 3 settembre 2010

A Palermo - P. COSTAMANTE - ... padre dell’anima mia

… il padre dell’anima mia
Da quando, in un ormai lontano giorno di ottobre dell’anno 1966, ho iniziato a frequentare la prima elementare all’Istituto Gonzaga di Palermo, ho avuto l’occasione di conoscere, stimare e volere bene a diversi padri gesuiti. Come singoli e nel loro insieme sono stati una presenza fondante, determinante nella mia vita, tuttavia il rapporto con padre Giuseppe Ardiri è stato per me qualcosa di speciale, di particolare.
Quando affermo ciò non intendo riferirmi ad un particolare affetto che mi legava a lui, ché, invece, non ho difficoltà a riconoscere che, da questo punto di vista, mi sento egualmente legato ad altri padri gesuiti, mi riferisco, piuttosto, a quello che è stato lui per me nella mia esperienza spirituale: “il padre dell’anima mia”.
Credo che sia la stessa espressione che usava Francesco Saverio, lontano nelle Indie, riferendosi ad Ignazio. Eppure posso confessare, con piena sincerità, che con questa espressione ho iniziato istintivamente a riferirmi a lui, nel mio intimo, proprio negli ultimi anni della sua esistenza e cioè quando lui per me, come Ignazio per Francesco Saverio, era diventato lontano e per certi versi irraggiungibile.
Ho conosciuto padre Ardiri, quando già studente universitario ero uscito dal Collegio Gonzaga e frequentavo, senza grande convinzione, l’associazione degli ex alunni di cui lui era padre assistente. In quegli anni vivevo un periodo di allontanamento dalla fede. Verso il quarto anno di superiore avevo posto fine alla mia esperienza nel M.E.G. (Movimento Eucaristico Giovanile) e tutti gli anni di università furono segnati da una totale lontananza da ogni pratica religiosa. Resisteva solo, incomprensibilmente, ma oggi dico provvidenzialmente, questo labile legame con la mia passata formazione “gesuitica” che era l’associazione degli ex e lì il contatto sporadico e tutto sommato superficiale con p. Ardiri.
A un certo punto, inspiegabilmente, di fronte alla prime serie avversità della vita che mi trovai ad affrontare ebbi un moto dell’anima: mi sentivo fragile, in qualche modo spoglio ed affamato, non, ovviamente, dal punto di vista materiale, ma in quanto privo di senso, di un centro, di un punto di appoggio a partire dal quale affrontare le vicende della vita, e mentre sentivo ciò cresceva in me la consapevolezza che io quel senso, quel centro lo avevo avuto, quando da ragazzo nel M.E.G. avevo fatto, pur con tutti i suoi limiti, una prima esperienza di fede consapevole, e lo avevo perso, dissipato: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza ed io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mi padre e gli dirò...” (Lc. 15,17-18).
La casa del Padre, questo per tutti dovrebbe essere la Chiesa, non in astratto ma in luoghi concreti di accoglienza nello Spirito, per me nel concreto della mia esistenza, non poteva essere altro che il Collegio Gonzaga e lì ad accogliermi p. Giuseppe Ardiri. E con lui inizia un cammino, pieno di contraddizioni, difficoltà, interruzioni, cadute da parte mia, ma da lui guidato con dolcezza, saggezza e mite, ma ferma, determinazione. Iniziammo con il ritorno alla preghiera personale (orazione mentale) possibilmente quotidiana e la direzione spirituale, poi, dopo un po’ di tempo, la proposta degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio (EE.SS.) nella vita corrente, poi, dopo un altro po’ di tempo la proposta di provare l’esperienza della “Comunità di Vita Cristiana” (CVX) che poi si è rivelata la mia vocazione di laico adulto nella Chiesa.
Sono entrato nella CVX, nella Compagnia di Sant’Ignazio, fondata da p. Ardiri con persone che con lui avevano fatto l’esperienza degli EE.SS. nella vita corrente.
Mi piace però ricordare che lui non mi indicò questo gruppo, me ne presentò più di uno e mi invitò a scegliere: non esisteva in Giuseppe Ardiri alcun legame, alcun affetto disordinato, verso le sue opere apostoliche, in questo da vero figlio di Ignazio, aveva fatto radicalmente proprio l’ammonimento di Gesù sul sentirsi sempre servi inutili.
Alcuni aspetti mi piace in particolare ricordare di p. Ardiri, come direttore spirituale ma, in generale come religioso, presbitero, e gesuita:
– una capacità di ascolto attento, discreto, ma al tempo stesso capace di penetrare nel profondo dell’ animo di chi gli parlava;
– il consiglio puntuale, mai generico o superficiale: “chi poco precisa, poco aiuta” insegna Sant’Ignazio negli EE.SS.; in Giuseppe Ardiri questo insegnamento l’ho visto mettere in pratica;
– una comprensione profonda e concreta del nuovo ruolo dei laici nella Chiesa, alla luce dell’insegnamento conciliare, e della possibilità per il laico di vivere, in maniera originale, ma in pienezza e profondità, la spiritualità ignaziana e l’esperienza degli EE.SS.;
– la profonda stima delle donne e la piena comprensione e valorizzazione delle loro doti peculiari e del loro apporto creativo e specifico nella vita della Chiesa e, più in particolare della famiglia spirituale ignaziana.
I punti che ho sopra accennato meriterebbero ben altro approfondimento. La figura e l’opera di p. Giuseppe Ardiri hanno tanto da insegnare a chi si riconosce in qualche modo parte della famiglia ignaziana.
In questo mio breve scritto ho forse ecceduto nel lato autobiografico, raccontando più la mia esperienza con p. Ardiri che parlando di lui, e me ne scuso, ma è stato per me l’approccio più naturale, visto quello che il suo incontro ha significato nella mia vita. Credo, tuttavia, che al di là delle commemorazioni, che molti, ed io stesso, sentiamo di cuore di fare, il modo migliore per ricordare Giuseppe Ardiri sia quello di riprendere le sue intuizioni sul ruolo dei laici nella Chiesa e nella famiglia spirituale ignaziana e sugli EE.SS., come grande dono dato alla Chiesa ed al mondo, che va reso pienamente fruibile dagli uomini e donne del nostro tempo di qualunque stato di vita, e sforzarsi di darvi compimento ed attuazione.

Pietro Costamante

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