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Membri della CVX - Palermo







Temi: La Spiritualità Ignaziana







martedì 31 agosto 2010

A Palermo -- P. BOLOGNA ... esempio di virtù cristiane

… edificante esempio di esercizio di virtù cristiane
La mia prima impressione nel vedere il padre Ardiri tra il bel verde dei viali dell’Istituto Gonzaga, ora C.E.I., fu quella di un uomo minuto, dall’apparenza fragile con uno sguardo franco e nel contempo pieno di umiltà, un volto sereno con un sorriso che subito mette a proprio agio l’interlocutore, la fronte ampia spaziosa che sempre si dava pensiero per forme di apostolato pratico operante nella realtà locale, due occhi incorniciati da spesse lenti da cui traspare bontà e carità.
Un uomo di Dio che ha saputo consolarmi nei momenti di sconforto, che ha illuminato i miei dubbi e le mie incertezze, che tanto generosamente mi ha arricchito di spiritualità ignaziana di cui era fecondo seminatore, edificante esempio di esercizio di virtù cristiane.
Quando richiese le mie prestazioni professionali per i prelievi di sangue ed il monitoraggio delle terapie a cui era sottoposto per il controllo della sua lunga malattia, non un lamento non una smorfia di dolore ho mai visto sul suo volto, ma sempre un sorriso, e la serenità che traspare come balsamo per le inquietudini quotidiane.
Padre Ardiri: il suo ricordo lo custodisco come perla preziosa nel mio cuore, e quando la fatica di vivere si fa più ardua, guardo quella perla preziosa custodita nel mio cuore, così la fatica si fa lieve ed il sorriso e la speranza mi sono compagne nell’andare avanti verso una meta dove un giorno, ne sono certo, potremo riabbracciarci.

Pasquale Bologna

A Palermo - G. LO SARDO... maestro di vita spirituale

… sapeva percorrere i cieli pur restando saldamente ancorato alla terra

Ci sono incontri che ti sfiorano senza lasciare traccia, incontri significativi che ti accompagnano per un tratto di cammino e incontri, tanto rari e preziosi, che imprimono alla tua vita una svolta profonda e duratura.
Una domenica di settembre del 1983, quando ho visto per la prima volta padre Ardiri, non immaginavo neppure lontanamente che quell’incontro sarebbe stato determinante nella mia formazione umana e spirituale.
Come spesso accade, le cose più preziose sono quelle che ti ritrovi tra le mani senza averle cercate.
Laura, mia moglie, era alla ricerca di una guida spirituale e un’amica la indirizzò p. Ardiri. Io l’accompagnai pensando che poteva, in qualche modo, essere utile anche a me.
Al primo incontro rimasi deluso, troppo schivo, sbrigativo, di poche parole: non era il mio tipo. Dopo averci ascoltato per qualche minuto, tirò fuori una piccola agenda, che presto mi sarebbe diventata familiare e ci fissò un appuntamento.
Cominciò così per me l’esperienza degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio che tanto avrebbe inciso nella mia vita. Il tempo cancellò la mia prima impressione e il “piccolo” uomo mi apparve sempre più un gigante.
Cosa è stato per me p. Ardiri?
È stato maestro di disponibilità: mi ha dedicato con costanza un’ora la settimana per tutto il tempo, circa due anni, degli Esercizi.
È stato maestro dell’ascolto: era capace di ascoltare un’ora intera senza interrompere.
Ogni tanto annotava qualcosa in un foglietto di carta e solo quando mostravi di aver terminato, prendeva la parola; con poche ma puntuali pennellate precisava, correggeva, orientava. Alla fine del colloquio tutto sembrava più chiaro, più semplice, perché p. Ardiri era maestro della semplificazione, capace di ricondurre le questioni più complicate all’essenziale.
P. Ardiri è stato per me maestro di concretezza: per lui le montagne da scalare avevano sempre un primo gradino da salire e dopo il primo il secondo e così via.
Così gradino dopo gradino mi conduceva verso le vette più alte. Mi ripeteva spesso una frase di Jean Lafrance: “Bisogna essere folli nei desideri e saggi nella realizzazione”.
Sapeva percorrere i cieli pur restando saldamente ancorato alla terra.
P. Ardiri è stato per me maestro del silenzio: parlava solo quando le parole erano di qualche utilità, tanto quanto. Non usava sofisticate argomentazioni per convincere, per spingere in una direzione anziché in un’altra. Per lui la Verità era semplice ed evidente, andava proposta e scelta nella libertà e nella responsabilità.
P. Ardiri è stato per me maestro di stile. Stile d’accoglienza: mi faceva sentire importante perché durante il colloquio esistevo solo io per lui; non mostrava fretta
pur avendo tanti impegni e tante responsabilità. Infine caramelle e cioccolatini rendevano l’incontro dolce e familiare.
Stile pastorale: la cura dell’ambiente, dei particolari, degli strumenti. Nulla era
lasciato al caso, poiché tutte le cose create aiutano l’uomo a raggiungere il fine per cui è stato creato.
P. Ardiri è stato per me maestro di vita spirituale, con la sua vita mi ha insegnato a ricercare sempre e soltanto tre cose: conoscere meglio, amare di più, seguire più da vicino il Signore Gesù.
Ho avuto il privilegio di incontrare un vero uomo di Dio.
Grazie Signore.
Grazie p. Ardiri, prega per me.

Giovanni Lo Sardo

A Palermo - L. CROCIVERA ... luce nella notte

… luce nella notte che mi ha indicato la Via
Quando ho conosciuto p. Ardiri nel 1983 avevo 26 anni, sposata con Giovanni dal 1979, mamma di due bambine Irene e Stella, a cui poi seguirono Francesca e i due gemelli Simone e Cristina.
Alla mia amica Marilina avevo confidato il bisogno di avere una guida spirituale e lei mi consigliò di andare da lui, padre Giuseppe Ardiri.
Al primo appuntamento trovai una persona semplice, pacata, gentile. I suoi piccoli occhi vivaci e il suo sorriso dolce, profondo e accogliente predisponevano il mio animo all’apertura, al dialogo sincero, alla fiducia.
Andavo da lui ogni sabato mattina perché gli altri giorni c’era il lavoro e quando non potevo mi invitava a mangiare un boccone nella sala mensa dell’Istituto e lui mi serviva il pranzo come una mamma premurosa e attenta. Tutte le altre volte, ogni sabato per dieci anni mi veniva incontro e mi faceva accomodare in uno dei tanti salottini dell’istituto, apriva la finestra per fare entrare l’aria, mi offriva una
caramella o un bicchiere d’acqua e mi chiedeva: “Come stai? come va la tua vita? i tuoi figli? il marito? il lavoro? gli Esercizi Spirituali? quali difficoltà hai incontrato? quali frutti vedi in te? anche gli altri ti vedono migliorare? ”. Sapevo che neanche una parola andava perduta, lui ascoltava tutto con grande attenzione e interesse come se “non avesse niente altro da fare che ascoltare me”, anche se sapevo bene che dietro la sua porta c’erano tante altre persone che aspettavano di essere accolte e ascoltate così come faceva con me.
Sapeva essere discreto e delicato con tutti, semplice con i semplici, colto con i colti.
Mi ascoltava anche per un’ora intera e poi mi chiedeva se volevo aggiungere ancora qualcosa e se non avevo altro da dire lui parlava per orientare la mia volontà a valutare a scegliere a decidere a volere, secondo il metodo degli Esercizi
Spirituali di S. Ignazio.
Ho messo ordine nella mia vita e come il “paralitico guarito” mi sono alzata e ho cominciato a camminare nella vita senza stampelle, fidandomi di Dio che chiama, guarisce, conduce, riabilita e invia. Da p. Ardiri ho imparato che Dio è generoso,
e semina in abbondanza, senza mai stancarsi, senza guardare dove va a cadere il seme, senza calcolare quale frutto nascerà da quel seme o in quale terra porterà il suo frutto. Il seme che Dio ha piantato in me, per mezzo di p. Ardiri, mi ha portato a fare la scelta di consacrazione nell’Ordine Francescano Secolare, non potevo fare a meno di scegliere la “terza forma di umiltà” e “vendere tutto” per seguire Gesù povero e crocifisso, anche se in un ordine francescano.
A padre Ardiri il mio grazie di essere stato una luce nella notte che mi ha indicato
la Via.
Laura Crocivera

venerdì 27 agosto 2010

A Palermo - A. D’AMICO... uomo di discreta carità

…un uomo discreto, capace di “discreta carità”

Tante volte ho provato a capire i disegni di Dio...altrettante volte non ho trovato risposte logiche... Ho incontrato p. Ardiri in uno di questi miei vani tentativi...
Nel 1982, all’età di 22 anni, dopo un regolare calvario diagnostico-terapeutico, assisto alla morte di mio padre; ha inizio il mio calvario, non diagnostico-terapeutico bensì esistenziale. Dio si serve degli uomini (Lc 8,12-17) e l’allora Superiore dell’Italia Meridionale, p. Damiani S.J., mi presentò p. Ardiri. Era una giornata non diversa da tante altre, non ricordo precisamente quale, il mese, ricordo solo che la banalità del mio quotidiano venne progressivamente stravolta da quell’incontro.
Apprezzai subito la sua serenità e il suo sguardo... gli raccontai la mia storia, non mi interruppe durante tutto il mio racconto... mi ascoltava..., certamente mi disse qualcosa ma ne ricordo in particolare una: “... non ci si deve sentire vittime degli eventi...”; per me fu molto più di una mano tesa, fu un abbraccio... iniziò il mio cammino con p.Ardiri, un cammino di preghiera; ricordo ci incontravamo settimanalmente, al Gonzaga. Per i nostri impegni preferimmo fissare gli incontri la sera, tnte volte cenavo con lui, in Comunità, non c’era stanchezza né per lui né per me, la sua semplicità e la sua accoglienza a volte mi mettevano in difficoltà ma aspettavo di incontrarlo.
Mi guidò in alcune mie scelte fondamentali, assieme abbiamo affrontato le mie gioie e le mie sofferenze, come se fossero di entrambi; giorno dopo giorno ci legavamo affettivamente, come un figlio al padre: p. Ardiri, un uomo discreto, capace di “discreta carità”, secondo il senso ignaziano della Compagnia ed il suo senso ignaziano, che lui aveva trasmesso a me e a tutti quelli che incontrava.
Mi piace ricordare anche il nostro “silenzio”. Non venne al mio matrimonio; oggi capisco quanta sofferenza ed affetto erano in quella scelta... discreta carità...!
Seppi che si era ammalato, lo incontrai una volta al Gonzaga, poco prima che venisse trasferito all’Ignatianum di Messina. Non lo vidi più, anche quando un giorno andai a Messina ed accompagnai sua sorella all’Ignatianum, non volli vederlo... ho assistito alle sofferenze di mio padre, di mia madre e di mia sorella, da medico vedo le sofferenze di tante persone, adulti e bambini, tante volte si vorrebbe che le persone care fossero esenti dalle sofferenze, le vorremmo eterne... ho sempre preferito ricordare p. Ardiri come quell’uomo discreto, pronto ad ascoltarmi in qualunque
momento, con cui camminare, certo di non essere solo, un uomo felice di donarsi agli altri, un uomo di preghiera, disposto all’ascolto e pronto a donare una parola di conforto in ogni momento ed in ogni occasione.
Ventisei anni di ricordi sono tanti, queste parole sono poche per parlare di padre Ardiri, ma chi lo ha conosciuto certamente non avrà bisogno di nessun racconto...
Tante volte provo a capire i disegni di Dio... altrettante volte porto nel mio cuore le parole e gli sguardi che p.Ardiri mi ha regalato, per trovare ancora oggi, con lui, delle risposte logiche...

Angelo D’Amico

martedì 24 agosto 2010

A Palermo - G. PRATO - ... uomo dello Spirito

La prima volta che cominciai gli esercizi spirituali con p.Ardiri era estate: c’era caldo e tutto era deserto al Gonzaga. Lui, sorridendo, mentre passeggiavamo all’ombra degli alberi tra i viali assolati, in uno dei primi incontri, mi diceva contento: “ Mi hanno detto: - Tu rimani a custodire l’Istituto -, così ho questo spazio e il tempo per dare esercizi. È il frutto dell’obbedienza”.
Quando gli esercizi impegnavano tutta la giornata, si preoccupava di farmi preparare il pranzo, in una saletta al primo piano ed era lui personalmente a prenderlo dal montacarichi e sistemarlo su di una tavola semplicemente apparecchiata. Mi assegnò anche una piccola camera per riposare e meditare, nelle prime ore del pomeriggio, le più afose. Era l’agosto del 1981.
Una volta, recatami al pomeriggio al Gonzaga, dopo che ero stata accolta con la solita, consueta cordialità, mi accorsi di non avere più il borsellino: “ Ma…dove l’avrò perso? Ora ricordo, è stato quel ragazzino che mi ha urtato in autobus….” Lui,malgrado le mie proteste, volle darmi un portafoglio con qualche soldo dicendomi che gli era stato regalato e i soldi mi sarebbero serviti per il biglietto dell’autobus.
All’inizio del mio cammino, colpita da tanta sollecitudine, gli chiesi: “Ma padre Ardiri, perchè fai tutto questo? lo fai per il Gonzaga?” Lui mi rispose: “Anche, ma lo faccio anzitutto per la Chiesa”.
Pur essendo una persona ‘di Dio’ non aveva mai atteggiamenti scostanti su argomenti e questioni mondane, fossero più o meno importanti, tutto per lui poteva diventare mezzo per arrivare a Dio e conoscerne l’amore. Non aveva diffidenza per le innovazioni della scienza e della tecnica, anzi le considerava molto utili per vivere meglio, per avere più tempo da dedicare a Dio; potevano essere validi mezzi per progredire nella conoscenza di sé e del mondo, il primo passo verso l’accettazione di sé che egli riteneva l’inizio di una vera crescita spirituale. “L’uomo che vive è la gloria di Dio” era una massima che egli citava spesso, volendo esprimere che tutto ciò che ci è dato nella vita, se vissuto e custodito da veri figli di Dio, ci porta a incarnare fedelmente la nostra personale vocazione e a gustare la gioia di lodare Dio.
Non è da cercare la rinunzia fine a se stessa ma, anzitutto, la liberazione da quanto ci appesantisce, impedendoci di realizzare il disegno di Dio su di noi; “misericordia io voglio e non sacrificio”, anche questa era una frase a lui cara.
Amava la fotografia come me, così all’inizio del mio cammino mi incoraggiò a portargliene qualcuna tra quelle che avevo fatto, cominciammo così a ‘rompere il ghiaccio’ scambiandoci pareri e impressioni come vecchi amici.
Aveva una grande delicatezza nell’orientare, non assumeva mai toni paternalistici, non forzava, non incalzava, non giudicava, rimandava sempre la persona a se stessa, alla personale libertà e responsabilità; riusciva con grande efficacia a cogliere nelle conversazioni spirituali l’occasione favorevole per dare un opportuno consiglio.
Pur volendo molto bene ai suoi figli spirituali (si preoccupava anche della loro salute) il suo era un affetto delicato, giungeva come una brezza leggera, non suscitava il timore di deluderlo o il desiderio di compiacerlo, non induceva ad agire in un modo piuttosto che in un altro.
Aveva grande umanità nei confronti anche delle persone in condizioni difficili, come i malati, gli anziani soli, i disabili, i carcerati; di questi ultimi ricordo in particolare che, un giorno, nel corso di una conversazione, mi disse: “Queste persone che già scontano la loro pena perché devono essere private anche dei loro affetti, del conforto dei familiari, della moglie? Sarebbe giusto dar loro la possibilità di incontrarli, con maggiore frequenza e discrezione”.
Per conoscere la persona non esitava a impiegare tempo e energia: cominciava attraverso un certosino lavoro di colloqui; ricordo che io ero impaziente di cominciare le meditazioni e lui invece impiegava molti incontri solo per conoscere i miei interessi, i miei progetti, senza mai porre domande, ma sempre offrendo il suo delicato ascolto, letture, cartoline. A volte, in quel clima fraterno che sapeva creare, raccontava di sé con la fresca semplicità di un fanciullo, il pacato distacco di un maestro di yoga e, soprattutto, la profonda sapienza di un maestro di spirito.
Ciò conduceva alla costruzione di un dialogo autentico che, gradualmente, diventava sempre più intenso. Incarnava perfettamente la paternità: vigile ma delicato, attento ma rispettoso, pieno di fermezza ma ancor più di dolcezza, sembrava il custode del progetto di Dio su chi a lui si affidava. La sua sollecitudine si esprimeva in una presenza solida nella vita di chi si lasciava da lui guidare, il suo affetto si declinava dalla vigilanza paterna al conforto materno, alla confidenza fraterna.
Mai invadente ma sempre sollecito, senza pregiudizi ma sempre lucido e lungimirante, sapeva confortare, riprendere, orientare con la delicatezza del soffio dello Spirito.
Ciò incoraggiava a renderlo partecipe della propria vita senza reticenze. Quando, per alcuni anni, mio marito ed io ci avvicinammo al Rinnovamento dello Spirito gli chiesi se ciò potesse interferire con il cammino degli esercizi; lui mi confortò, regalandomi anche un libro che presentava un confronto tra il cammino degli esercizi ignaziani e il R.d.S.
Altre volte, nell’entusiasmo di chi vuole fare ‘grandi cose per Cristo’ gli confidai certi miei timori e lui mi rispose: “La messe è molta e gli operai sono pochi, tu prenditi tutto lo spazio che puoi, al resto penserà il Signore”. Apprezzava, incoraggiava e lodava ogni impegno per Cristo: riteneva fondamentale sia l’apostolato culturale che quello sociale, sapeva stare sia con le persone “importanti” che con quelle umili, con il medesimo rispetto e la stessa carità. Un giorno, durante una omelia disse di essersi sempre sentito “vicino ai poveri, forse perché le sue origini erano povere”.
E povero si era reso davvero, perché dava a piene mani il suo tempo, il suo impegno spirituale e fisico lì dove si trovava.
Così, finché si trovò al Gonzaga, non si risparmiò dedicandosi a tutti con illimitata generosità eppure, in un’altra occasione, disse che un giorno anche di quella costruzione un giorno non sarebbe rimasto nulla, perché ‘tutto passa solo Dio resta.’
Ricordava spesso la presenza della Provvidenza nella nostra vita. Benché non avesse pratica delle contingenze della vita familiare, anche qui sapeva opportunamente orientare, senza dispensare dal travaglio della ricerca, senza fornire ricette preconfezionate.
Quando gli confidavo le mie difficoltà, le mie ansie e le mie sofferenze di madre lui faceva luce, non dando precise indicazioni ma, richiamando momenti della vita di Maria e di Giuseppe, mi invitava ad un attento discernimento. Poi concludeva: “Ricorda che però è sempre Dio il primo a custodire i figli, tutto è nelle sue mani, dopo che noi abbiamo fatto tutto ciò che è in nostro potere”.
Ho scoperto in seguito di non avere sempre colto subito il significato delle sue parole, come quella volta in cui, guardando i viali del CEI dalla finestra di una sala dell’istituto, mi sembrò triste come non l’avevo mai visto e gli chiesi: “Stai male, p. Ardiri? ”, lui scosse il capo sorridendo e disse : “ No, è che penso che dovrò prepararmi a lasciare tutto questo”. Ed io pensai che si riferisse al trasferimento a Messina. Non pensavo allora che un giorno avrebbe potuto lasciarci per sempre.
Ma non lo penso neanche adesso che ci abbia lasciato; infatti, nelle varie circostanze della vita, mi sento accompagnata dal suo affetto, ripercorro mentalmente la profonda vastità del suo insegnamento, di parola e di vita, e sempre ritrovo un’indicazione, un orientamento, una frase che mi tornano provvidenziali e illuminanti.

Giuliana Prato

A Palermo - L. BARBERI ... costruttore di reti di amicizia

…un amico che ti introduce in una rete di amicizia
Il mio ricordo più remoto del p.Ardiri risale ai primi mesi del 1981: da qualche mese avevo assunto l’incarico di docente di Educazione Tecnica nella scuola media dell’Istituto Gonzaga di Palermo e il p. Giuseppe Ardiri, che di tanto in tanto andava a trovare i docenti per scambiare con loro qualche battuta, come una calamita in cerca di metalli da sollecitare, mi propose dei colloqui per conoscere meglio il mio lavoro professionale e i miei impegni extrascolastici.
Dopo i primi appuntamenti, che venivano accuratamente annotati dal padre in un’agendina dalla copertina di colore nero, ho capito di avere intrapreso un cammino spirituale abbastanza lungo e impegnativo, che più in là comincerò a chiamare col suo vero nome e cioè “Esercizi Spirituali nella Vita Ordinaria” (alias EVO). In sostanza, senza rendermene conto, sono diventato protagonista di un percorso spirituale che coinvolgeva la mia vita presente e futura.
Le proposte e gli inviti del padre Ardiri, che si andavano intensificando incontro dopo incontro, erano, nello stesso tempo, discreti, semplici e coinvolgenti. Ricordo che in pochi mesi è riuscito a farmi interessare a tante attività che orbitavano intorno al Gonzaga: dalle riunioni con gli ex alunni dell’Istituto ai momenti di preghiera mattutina con gli alunni della scuola media, dai ritiri spirituali alle varie celebrazioni liturgiche speciali e occasionali.
Tra le varie iniziative, proposte dal p. Ardiri e progettate insieme a lui e ad altri colleghi e amici, che ricordo con piacere e interesse, vi furono: l’organizzazione dei convegni di Spiritualità Ignaziana e la realizzazione dei pellegrinaggi estivi.
La preparazione dei convegni di Spiritualità (il 1° risale al maggio 1987) era molto precisa ed accurata: essa comprendeva, in primo luogo, la scelta oculata del tema, con un adeguato discernimento, e poi l’articolazione delle relazioni e degli incontri, l’individuazione dei documenti di riferimento e del relatore, la predisposizione di una mostra iconografica, introduttiva al tema prescelto. A proposito di quest’ultima ricordo come il p. Adiri riusciva puntualmente a coinvolgermi e a risvegliare il mio interesse: mi convocava e, prima che potessi manifestare alcune difficoltà, mi mostrava numerose illustrazioni e diversi documenti utili per l’allestimento della mostra.
Anche i pellegrinaggi suggeriti dal p. Ardiri erano accuratamente studiati e ben organizzati. Ricordo, in particolare, quello svolto in Spagna nell’estate 1984, quando, una decina di compagni insieme al padre Giuseppe, abbiamo visitato, come pellegrini (sulle orme del nostro maestro Ignazio), i luoghi frequentati dal Santo, prima e dopo la sua conversione.
Il pellegrinaggio aveva, per il nostro padre, anche un significato speciale, che ho colto alcuni anni dopo: era l’occasione per familiarizzare di più con le persone a cui voleva bene. In questa iniziativa apostolica il padre aveva un carisma particolare: riusciva ad accendere, nello stesso tempo, l’interesse e la partecipazione di persone diverse, sia per età che per formazione umana e culturale, e ne favoriva, spesso, la costruzione di una vasta rete di amicizia.
La fotografia, per il p. Ardiri, era lo strumento privilegiato per documentare i viaggi e le varie manifestazioni culturali e religiose, perciò era sempre armato di fotocamera e pronto a cogliere i momenti più curiosi e originali degli avvenimenti.
Egli custodiva ed arricchiva continuamente il suo archivio iconografico, che utilizzava, soprattutto, nelle meditazioni e nella conduzione degli Esercizi Spirituali.
Spesso regalava fotografie ad amici e conoscenti per ricordare gli avvenimenti vissuti insieme e consolidare così i rapporti di amicizia.
Uno degli insegnamenti più profondi che il p. Ardiri ha cercato ed è riuscito a trasmettermi, nel cammino di direzione spirituale e nelle attività formative, è stato la riflessione e la meditazione attraverso le immagini sacre e specialmente quelle artistiche.
Nelle composizioni artistiche, mi faceva osservare il padre, possiamo ritrovare la sintesi di tanti contatti e dialoghi tra la natura umana e quella divina, che difficilmente possono essere riportati o trascritti sui libri o sulle riviste. L’artista, mi faceva poi considerare, non può avere raffigurato facilmente determinate scene se prima non ha contemplato adeguatamente il mistero divino e noi, attraverso le medesime rappresentazioni artistiche e la necessaria predisposizione del cuore, abbiamo la grande possibilità di rivivere e contemplare i misteri e i dialoghi divini ivi concentrati.
Per questo mi piace anche pensare al padre Ardiri come ad un maestro dell’arte della contemplazione.
Il padre Ardiri, oltre che guida spirituale, è stato anche un amico di famiglia, che ha celebrato il mio matrimonio, che ha battezzato il mio 1° figlio, che è stato sempre discretamente e costantemente presente in tutti gli avvenimenti lieti e meno lieti della vita.
Nei rapporti umani egli aveva uno stile caritatevole inconfondibile e vari sono gli episodi che, al riguardo, si possono annoverare. Quando qualcuno si rivolgeva al padre per un consiglio o un aiuto, anche di tipo economico, trovava quasi sempre la soluzione a portata di mano. Ricordo, ad esempio, che mi ha trovato, tempestivamente, un locale nell’Istituto per custodire dei mobili in attesa di un successivo trasloco.
Se tuttavia non riusciva a soddisfare personalmente la richiesta soleva dire:
“Tu contatta questa persona… che ti dirà quello che puoi fare”.
Questo, in sintesi, era lo stile umano e apostolico del p.Ardiri: un amico che ti introduceva, con affetto e simpatia, in una rete di amicizia.

Lillo Barberi

A Palermo - A. CARUSO - ... gesuita che ha creduto nei laici

…un gesuita che ha creduto nei laici. Apostolato spirituale a Palermo
Questa è la testimonianza di una delle tantissime persone che hanno avuto la fortuna di incontrare p. Ardiri nel periodo più importante e più fecondo della loro vita: una testimonianza lunga più di venticinque anni, una lode continua al Signore per il dono di averlo incontrato.
Parlerò come sua figlia spirituale, come docente dell’Istituto, ora Centro Educativo Ignaziano, prima Gonzaga, come mamma di un’ex alunna e come membro della CVX: in tutti questi ambiti è stata, ed è sempre presente, la figura di p.Ardiri.
Quando, agli inizi degli anni ’80, p. Ardiri giunse in Istituto (era allora Rettore p. Pandolfo), dapprima la sua fu una presenza discreta, discretissima, tra noi professori.
Ci invitava a partecipare ad alcuni incontri pomeridiani, informali, durante i quali egli leggeva una pagina evangelica, la commentava e ascoltava le nostre risonanze.
Anch’io cominciai a partecipare a quegli incontri: mi colpiva la straordinaria semplicità, e insieme profondità, con la quale spiegava la parola di Dio, mettendo in risalto elementi apparentemente secondari, ovvii e scontati, ma quello che mi stupiva erano le sue “applicazioni alla vita”, alla mia, alla nostra vita; era l’invito continuo, insistente, ad uniformarsi all’esempio di Cristo, ad esserne imitatore, tutto questo detto senza altra abilità retorica se non quella della semplicità del suo cuore e della sua testimonianza personale.
Come me, molti altri colleghi furono colpiti da questa “presenza”, e fu allora che egli cominciò ad entrare sempre più nella vita dell’Istituto, come Superiore di
comunità e come formatore spirituale dei docenti.
Diede inizio così a corsi di Esercizi Spirituali nella vita corrente, ora indicati con la sigla EVO, il primo allora, e non solo a Palermo, a guidare laici nell’esperienza del mese ignaziano “diluito” nella vita ordinaria. Pensò poi di fare incontrare periodicamente i primi “ignaziani” che avevano già completato l’esperienza degli EE.SS. e da questi incontri nacque, nel 1983, la Compagnia di S.Ignazio, i nuovi compagni laici del Santo, innamorati di Cristo.
Contemporaneamente, allargava la sua “rete” di amici nel Signore e non si risparmiava: tutto il suo tempo era dedicato alla conduzione di gruppi di Esercizi o di preghiera, di catechesi, di direzione e di incontri spirituali.
S. Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, non era più solo il Santo raffigurato nella vetrata dell’ingresso del Gonzaga, dai connotati vaghi e nebulosi, ma un santo finalmente conosciuto, familiare, amato, il santo degli Esercizi che invitava a seguire il Re Eterno, Gesù Cristo, che stimolava a distinguersi sempre più, che ci faceva scoprire Dio in tutte le cose e ci faceva amare tutte le cose in Dio.
Questo non solo per la Compagnia di S.Ignazio (formata allora quasi interamente da docenti e amici del Gonzaga), ma per chiunque gli si avvicinasse. Gli orizzonti del suo apostolato spirituale non avevano limiti: dolce, affettuoso, amabile, discreto, aveva parole di attenzione per tutti: i suoi confratelli ( mi si conceda dirlo), i docenti, i genitori, tutto il personale non docente, gli alunni, gli ex alunni, i suoi poveri, gli ammalati, i “piccoli” e i bisognosi. Per chiunque egli incarnava una delle caratteristiche più intrinseche della spiritualità ignaziana, quella della paternità spirituale: p. Ardiri, come nostro padre Ignazio, ha avuto il dono di generare nello spirito tanti di noi.
Nutriva, è vero, una particolare predilezione per la Compagnia di S. Ignazio, che ha curato e formato per venti anni, e che continua ad illuminare con il suo esempio, non solo per affetto umano, ma perché lo aiutassimo, da veri “moltiplicatori” ignaziani, prima e soprattutto nella testimonianza di vita personale e professionale e poi nell’attività apostolica.
Creativo, vulcanico quasi nella sua inventiva, ha promosso, finché ha potuto, i 15 Convegni di Spiritualità Ignaziana (quest’anno, 2008, si terrà il 20°), i pellegrinaggi nei luoghi del Santo di Loyola: in Spagna, a Parigi, a Roma e in altre località ignaziane in Italia; ha invogliato a tradurre testi ignaziani, ad aiutarlo nella conduzione di gruppi di Esercizi, a scrivere articoli e saggi di spiritualità. Ci diceva e ci esortava ad operare e a dimostrare concretamente con i fatti il nostro amore per Cristo, nel rispetto e nella valorizzazione dei nostri talenti.
Diventato rettore (dopo p. Pandolfo), ai “pesi spirituali” si aggiunsero quelli della direzione dell’Istituto che diventarono prioritari e che lo costrinsero a sostenere ritmi pesantissimi: ogni sabato erano tre i gruppi di esercitandi che guidava dalle ore 16 alle 22, ininterrottamente! Tutto questo per la maggior gloria del Signore! Quando notavamo la sua stanchezza e lo esortavamo ad allentare i ritmi sostenuti e a riposarsi un po’, rispondeva sempre che non era possibile ed aggiungeva - riprendendo un’espressione cara a S. Francesco Saverio - : “Avremo tempo di riposarci in Paradiso!”.
Il corpo docente era per la maggior parte “ignaziano” nella formazione spirituale e questo favoriva la conoscenza e l’applicazione delle “Caratteristiche dell’attività educativa della Compagnia di Gesù” e del suo progetto formativo. Tutti trovavano sempre aperta la porta del suo studio ed ogni mattina era solito accogliere alunni e professori, all’ingresso dell’istituto. Realizzava concretamente quella che è una caratteristica della pedagogia ignaziana: la “cura personalis”.
Nominato rettore all’Ignatianum di Messina, pur lontano, è stato sempre presente tra noi e i tanti amici e genitori, qui a Palermo.
Concluso il rettorato messinese, tornato nella nostra città, eletto Assistente della CVX di Palermo, anche in questo ambito, egli ha lavorato molto ed ha dato il suo contributo in termini di creatività ed operosità.
Fu lui che volle:
- un censimento dei membri per costituire una banca delle disponibilità apostoliche (in termini di tempo, denaro e carismi) da mettere al servizio della Comunità e della città di Palermo,
- creare occasioni di incontro tra i vari gruppi costituenti la CVX,
- promuovere gruppi di lavoro trasversali all’intera comunità,
- aggregare tutti nella preghiera, con l’istituzione dell’ora santa, ogni primo venerdì del mese, e pregare per la città di Palermo, in particolare, e per il mondo, in generale,
- promuovere le “passeggiate artistiche” a Palermo e le visite culturali in Sicilia, sotto l’egregia guida della professoressa Dora Avella, spinto dall’amore per l’ambiente e da fine sensibilità per la cultura e l’arte, in particolare,
- utilizzare tutti gli strumenti della comunicazione (diapositive, film, teatro, cartoline, quadri, ecc.), per arrivare al cuore dell’uomo,
- tanto altro ancora…
Ecco, in sintesi, cosa è e cosa è stato per me, per noi, p. Ardiri: uno strumento, un esempio e un maestro.
Uno strumento: di conoscenza intima del Signore, di ordine nella mia, nella nostra vita per la sequela a Cristo Gesù.
Un esempio: di coerenza di integrazione vita-fede, di sintesi vita-cultura, di semplicità e delicatezza nel modo di essere e di relazionarsi, di severità e rigore (in ciò che si fa e si persegue) di fermezza e decisione (in ciò che è giusto, buono e doveroso) di creatività, inventiva, fantasia, giovinezza di spirito.
Un maestro: di discernimento.

Angela Caruso

lunedì 23 agosto 2010

A Palermo - R. P. RIZZUTO - ... indimenticabile padre

piccolo, grande, indimenticabile padre
 Un piccolo padre, dall’aspetto amabile e con il volto sorridente del saggio orientale: con queste parole sentii descrivere per la prima volta p. Ardiri, quando, ormai quasi trent’anni addietro, era da poco giunto all’Istituto Gonzaga di Palermo.
Pochissimi di quegli incontri di preghiera che egli guidava per i docenti dell’Istituto ed ai quali, giovane studentessa universitaria, ero stata invitata a partecipare, mi furono sufficienti per capire che quel padre piccolo lo era solo di statura fisica.
Traspariva, dai suoi occhi e dalle sue parole, la pace profonda e la sapienza che sono proprie dell’uomo di Dio, traspariva un’esperienza viva e concreta di comunione con il Signore ed una confidenza con la sua Parola coltivata quotidianamente da un’intensa vita di preghiera.
Attraverso lo sguardo e le parole di p. Ardiri, chiunque si scopriva toccato dall’amore stesso di Dio nelle pieghe della propria vita ed interpellato personalmente da questo amore.
Compresi rapidamente, partecipando a quegli incontri fra docenti, che grandissima era la statura spirituale ed umana del piccolo padre, grandissima la sua ansia apostolica, animata da un amore profondo per Dio, per Gesù Cristo, per ogni persona posta dalla Provvidenza sul suo cammino.
Poche settimane dopo quei primi incontri mi ritrovai nello studio del piccolo grande padre con il prezioso libretto degli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola fra le mani.
Quella stessa ansia apostolica che lo aveva portato ad impegnarsi con tanta dedizione e generosità, fin dai primi mesi dal suo arrivo a Palermo, nella evangelizzazione, a partire da quella dello stesso personale della scuola, e che negli anni avrei scoperto incredibilmente creativa ed inesauribile, gli aveva suggerito di provare un esperimento mai tentato prima: proporre l’itinerario integrale delle Quattro settimane del mese degli esercizi ignaziani a dei laici, senza che questi interrompessero la loro vita ordinaria.
Per un anno intero divenne centrale nelle mie giornate, pur nel fluire degli impegni consueti dello studio, il momento riservato quotidianamente agli esercizi e i due incontri settimanali con il Padre.
Non sapevo allora di essere, almeno a Palermo, la prima persona laica a ricevere il dono impegnativo di una esperienza, quella del mese ignaziano integrale, fino ad  allora riservata ai gesuiti.
Un dono che Dio, attraverso la generosità di p. Ardiri, avrebbe offerto ad una grande quantità di persone, divenute ben presto tanto numerose da non poter essere personalmente guidate, come ero stata io e pochi altri amici nel Signore.
Sarebbe nata così a Palermo, dalla profetica creatività apostolica di p. Ardiri, l’esperienza dei gruppi di esercizi spirituali ignaziani nella vita corrente per laici.
La guida degli EVO (Esercizi nella Vita Ordinaria), pur affiancata da mille altre iniziative apostoliche, rimase sempre centrale nel suo impegno. Vi si spendeva con una generosità che lo portava a sostenere, sempre con amabilità e pazienza, ritmi di lavoro che anche ai più generosi parevano eccessivi.
Per tutti coloro ai quali proponeva il cammino degli Esercizi, il piccolo padre sapeva essere una guida sicura e autorevole, forte e tenera insieme, come è ogni vera paternità. Una guida che sapeva accompagnare sapientemente all’incontro con Dio, favorire l’intimità con Gesù, nel rispetto della unicità di ciascuna persona.
Per gli esercitanti formati da p. Ardiri, centinaia solo a Palermo, l’esperienza era un’autentica riscoperta del Vangelo e di Gesù, una autentica nuova nascita spirituale.
Padre Ardiri diventava rapidamente un vero padre, amatissimo e prezioso.
E proprio la paternità, quella capacità di generare nella fede e nella vita spirituale, di indicare con chiarezza il vero fine e di saper accompagnare con amore verso di esso, è una delle cifre più caratterizzanti la sua figura, quella che ha lasciato un segno profondo nelle numerosissime persone che si riconoscono come suoi figli e nel cui cuore il suo ricordo rimane indelebile e carissimo.
Da lui si riceveva forte anche la sollecitazione a dare un respiro apostolico alla propria vita, qualunque fosse la propria condizione umana, economica, professionale, sociale.
Alla scuola dell’apostolo Ardiri ci si scopriva chiamati ad essere apostoli, a non poter tenere per se stessi l’amicizia di Gesù Cristo, così profondamente sperimentata, ed il gusto della scoperta di Dio in tutte le cose, ma ad accogliere sul serio l’invito a mettersi al fianco del Figlio sulle strade del mondo per servire con la propria vita ogni fratello e per conquistarlo al Padre.
E a farlo anzitutto a partire dalla propria condizione di vita, qualunque essa fosse, dai propri talenti, dal proprio lavoro professionale ed anche domestico, umile o prestigiosissimo che fosse.
Il desiderio di formare apostoli, unito all’amore per il carisma del fondatore, il caro Padre Ignazio di Loyola, e per la sua spiritualità, lo porta, a partire dal gennaio 1983, a riunire intorno a sé alcuni di quei laici che per primi aveva guidato lungo l’itinerario delle Quattro Settimane.
Nasce così la Compagnia di S. Ignazio, un’altra creatura dell’amore profetico e
generoso di p. Ardiri.
Gli incontri sono quindicinali e durano tre ore ciascuno; per anni l’appuntamento è fissato la domenica pomeriggio e poi il sabato, a partire dalle sedici: un impegno intenso per dei laici che studiano, lavorano, hanno famiglia... ma nessuno di loro mancherebbe, senza una ragione molto seria, ad uno solo di quegli incontri.
In essi ci si forma per servire nella Chiesa attraverso un approfondimento della spiritualità ignaziana della quale il magistero di p. Ardiri sa far gustare la straordinaria ricchezza.
Agli incontri ci si prepara con la riflessione personale su articoli, saggi, libri di volta in volta “assegnati” dal Padre, come in una vera scuola. I testi sono anzitutto quelli dello stesso S. Ignazio, a partire dalla Autobiografia, dal Diario Spirituale, dalle lettere, seguiti da una gran quantità di altri testi sui più diversi aspetti della spiritualità e del carisma ignaziano, che vengono scandagliati, meditati e gustati in profondità.
L’intelligenza degli argomenti, il loro approfondimento culturale si unisce ad un forte coinvolgimento del cuore e della vita stessa.
Lo “studio” non è mai separato dalla preghiera, dalla condivisione, dalla vita e dal servizio, nei quali deve tradursi e dare i suoi frutti. Negli incontri si prega insieme, si condivide la propria riflessione e si confronta la propria esperienza, ci si sostiene nell’impegno apostolico personale, ci si incoraggia a vivere tutta la propria vita al servizio degli altri. Vi sono resi concretamente presenti da p. Ardiri anche i poveri, gli ultimi, le missioni: nessun incontro si conclude senza una raccolta di denaro destinata al loro sostegno e senza che p. Ardiri richiami l’esigenza evangelica della sobrietà dello stile di vita e della solidarietà con i poveri ai quali raccomanda di destinare quella parte dei propri beni che ad essi in realtà appartiene.
Al servizio p. Ardiri spinge con determinazione, con energia e con amore. I compagni si ritrovano prestissimo al suo fianco nella conduzione degli EVO oltre che lanciati nella preparazione e nella guida di ritiri spirituali ed incontri di preghiera.
Sperimentano, alla scuola di p. Ardiri che veri strumenti apostolici, utili per avvicinare a Dio, possono essere anche le più disparate realtà umane. Non è facile per i compagni tenere il ritmo di una creatività apostolica che può senz’altro essere detta vulcanica.
Nel giro di pochi anni i frutti di tale creatività apostolica si moltiplicano. Padre Ardiri ispira l’organizzazione dei convegni di spiritualità ignaziana, che diventano presto a Palermo una tradizione consolidata e che vedono, grazie alla sua intraprendenza, intervenire alcuni fra i più prestigiosi dei suoi confratelli gesuiti, spesso gli stessi assistenti del Generale della Compagnia di Gesù.
Ai convegni si affianca per sua iniziativa l’allestimento di mostre fotografiche, l’organizzazione di pellegrinaggi estivi sui luoghi ignaziani d’Italia e d’Europa, la redazione di schede, come quelle contenute nei fascicoli dedicati a Luigi Gonzaga, Rupert Maier ed Agostino Pro, volute da p. Ardiri perché il modello di grandi santi della Compagnia di Gesù potesse servire come traccia per nuovi cammini di santificazione e di imitazione del Signore.
Anche il cinema e l’arte tutta diventano nelle mani di p. Ardiri strumenti apostolici.
Ritornano oggi alla mente i cicli di incontri dedicati alla produzione di Bunuel e l’uso sapiente che sapeva fare di tante immagini di capolavori d’arte, così meticolosamente collezionate in vista del suo magistero spirituale.
Ed ancora i cicli di visite nei luoghi d’arte di tutta la Sicilia e della città di Palermo, ai quali tante persone aderivano con entusiasmo, attratte dalla possibilità di meglio conoscere ed amare la loro terra e dalla ambilità di padre Ardiri, per poi ritrovarsi intorno a lui guidati a gustare la bellezza di Dio riflessa in ogni bellezza ed a pregare con lui, contagiati da quell’amore tenero che lo portava ad affidare al Padre tutti gli uomini.
Non dimenticherò l’intensità di un’eucarestia celebrata a Caccamo, al termine della visita del famoso castello nel quale molte persone hanno in passato duramente sofferto, quando la sua preghiera d’intercessione si estese a comprendere, in un ricordo affettuoso di affidamento a Dio, non solo tutti i presenti, ma perfino quanti, nel corso dei secoli tra quelle mura avevano patito torture e violenze di ogni genere.
Compresi, dall’intensità di quella sua preghiera, quanto cara gli fosse l’umanità tutta, che egli sapeva guardare con lo sguardo stesso di Gesù e per la cui salvezza continuamente pregava e si adoperava.
All’interno dell’Istituto Gonzaga la sua cura spirituale raggiungeva tutte le componenti della scuola. Molto caro mi rimane il ricordo delle gite organizzate dal Padre, negli anni del suo rettorato, per i giovani docenti, gite pensate per favorirne l’affiatamento in un clima rilassante, ma nelle quali non mancava mai il momento di riflessione e preghiera.
E a pregare e a scoprire Dio p. Ardiri riusciva a mettere anche genitori, alunni e collaboratori incaricati delle più svariate mansioni; invitava nei gruppi degli EVO quelli che reputava adatti a tale esperienza, senza trascurare di coinvolgere comunque tutti in più semplici incontri organizzati nella formula delle missioni popolari o ancora nei tempi forti dell’anno liturgico.
E così si preoccupava che non mancasse nelle giornate d’Istituto uno spazio riservato alla presentazione a studenti e famiglie di qualche figura significativa della Compagnia di Gesù o di qualche tema utile ad una loro prima evangelizzazione e che in ogni classe venisse curata settimanalmente la pagina del Vangelo domenicale.
Pari attenzione e cura apostolica p. Ardiri riservava ai poveri e ai semplici come ai ricchi, agli ultimi come alle persone colte e potenti. L’amore e la disinvoltura con cui si intratteneva con gli uni e con gli altri faceva comprendere quanto sul serio vivesse il paolino farsi tutto a tutti per portare tutti a Cristo.
La semplicità profonda e la carità discreta con le quali viveva e comunicava il Vangelo conquistava il portinaio come il docente universitario, la domestica come l’avvocato, l’immigrato come il notaio, il magistrato e l’imprenditore.
Lo ha reso visibile, più di tante parole, l’assemblea variegata riunita intorno all’altare della Cappella S. Luigi ad otto giorni dalla sua morte, nella quale umili immigrati capoverdiani e prestigiosi professionisti palermitani si sono ritrovati insieme, gli uni accanto agli altri, a pregare per p. Ardiri e qualcuno, come ha pubblicamente dichiarato, già a pregare p. Ardiri.
L’elenco delle sue iniziative apostoliche potrebbe ancora allungarsi; sembra impossibile riuscire a non tralasciare nel ricordo nessuna delle infinite e svariate
attività che l’amore gli ispirava.
Per riposare avremo il Paradiso, soleva rispondere sorridendo a chi esprimeva trepidazione per i suoi ritmi di impegno ed anche a chi si lamentava per la propria stanchezza.
Ma, nel contempo, raccomandava di non trascurare il sonno, che definiva medicina naturale per molte malattie, rimedio efficace per tanti mali, e la custodia della salute.
E di battute semplici e profonde insieme la conversazione di p. Ardiri era sempre
intessuta, non solo quella degli incontri personali dell’accompagnamento spirituale, ma anche quella informale degli incontri casuali.
Le sue parole, mai banali o superficiali, erano invece capaci di penetrare nel cuore e restare impresse nella memoria di chi lo ascoltava, cariche di saggezza e di amore.
Ricordati che è una creatura che Dio ama, ripeteva a chi trovasse difficile il rapporto con qualche persona o gravoso porsi al suo servizio; e ai giovani docenti raccomandava l’autorevolezza: ricorda che se non sarai tu a condurre loro, come deve essere, essi trascineranno te, diceva degli alunni.
Ed ancora: La comunicazione favorisce la comunione, ripeteva per incoraggiare le persone a intensificare i loro rapporti di amicizia, di affetto, di comunione spirituale anche attraverso lettere, cartoline, telefonate.
E a tutti insegnava, con il suo esempio prima che con le parole, a farsi gli uni per gli altri accoglienti come alberi frondosi nei quali ci si possa rifugiare e sentirsi accolti e protetti, ad essere persone ricche di quel calore che scioglie ogni rigidità e favorisce la vita, ed, ancora, a curare di essere amabili più che lamentarsi di non essere amati dagli altri, e di esserlo anzitutto fra le mura domestiche, nella vita di tutti i giorni.
Solo la malattia ha potuto fermare la sua straordinaria dinamicità apostolica, pur senza spegnere ancora per molti anni la dolcezza del suo sorriso e l’intensità del suo sguardo sul caro prossimo.
E nessuno di coloro che hanno conosciuto ed amato p. Ardiri, come dicono innumerevoli testimonianze, hanno dubitato che tale malattia, misteriosamente permessa dalla Provvidenza e da lui tanto serenamente abbracciata e vissuta, sia stata la sua offerta estrema di sé stesso, l’ultima sua generosa collaborazione al piano divino di salvezza dell’umanità, il suggello e la testimonianza definitiva del suo amore, del suo abbandono completo, della sua accoglienza fiduciosa della volontà del Padre.

Rosalba Patrizia Rizzuto

A Palermo - G. SCARLATA R.S.C.J. - ... guida sicura nella mia vita

Una persona incontrata per caso, diventata per me solida roccia su cui appoggiarmi, rifugio nelle difficoltà, guida sicura nella mia vita di religiosa e nelle responsabilità di governo, che mi sono state affidate nella mia Congregazione.

Ho conosciuto per caso padre Ardiri, il 14 settembre del 1979: sono le ore 10.30 circa, quando sento squillare il mio telefono. Dalla portineria mi comunicano: “Madre, c’è qui, in persona, il Padre che dovrà dare gli Esercizi; il Padre sa bene che non le ha chiesto alcun appuntamento, ma siccome si trova di passaggio da queste parti chiede se per caso lei è libera e può riceverlo”. “Certamente” rispondo io, e scendo subito in parlatorio.
È di regola nella mia congregazione che le comunità facciano ogni anno gli Esercizi spirituali ignaziani di otto giorni: in quell’ anno, in quanto superiora della comunità, avevo invitato per guidarceli padre Pietro Schiavone s.j. Convinta di trovarmi davanti a padre Schiavone, mi presento: “Suor Giovannella Scarlata” e lui: “Padre Giuseppe Ardiri”. Io resto un po’ turbata e senza parole. Ci sediamo. Padre Ardiri con uno sguardo penetrante, quanto mai, e un tono di voce mite e soave, mi dice, quasi scusandosi: “Innanzi tutto, Madre, mi scuso di averla disturbata, senza prima averla avvertita, ma devo comunicarle che il padre Schiavone non sta attualmente bene e il mio Provinciale ha trovato soltanto me, libero, per dare gli Esercizi alla sua comunità nella data da lei desiderata”. Dopo una breve conversazione, per prendere qualche accordo circa l’organizzazione del corso degli esercizi, ci salutiamo cordialmente.
Ritornando in camera, sento chiara nel mio profondo una strana sensazione, ed esclamo dentro di me: “ Che uomo santo e veramente spirituale! Questa sì che è una persona, che concretamente mi testimonia le parole di Gesù, citate nelle mie Costituzioni: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore”.
Dal 25 settembre al 3 ottobre 1979 padre Giuseppe Ardiri guida, per la prima volta, gli esercizi spirituali alla mia comunità.
Da questo corso usciamo tutte entusiaste, non solo per le meditazioni esposte in modo semplice, chiaro, profondo e concreto, ma anche, anzi soprattutto, per i colloqui avuti con lui, dal quale tutte ci siamo sentite pienamente accolte con molta cordialità, guidate personalmente, senza limiti di tempo, incoraggiate, ma anche fortemente stimolate a metterci sole davanti a Gesù Crocifisso per confrontarci e verificarci con i Suoi sentimenti e i Suoi gesti concreti.
Più volte nelle sue meditazioni ci diceva: “Leggendo le vostre Costituzioni, sono stato molto colpito dalle forti esigenze del vostro carisma: siete chiamate a glorificare il Cuore di Gesù con tutta la vostra vita, con una spiritualità di unione e conformità al Suo Cuore (“Abbiate gli stessi sentimenti, che furono in Cristo Gesù”, trovo citato nelle vostre Costituzioni), e con la Missione di scoprire e manifestare il Suo Amore mediante il vostro servizio di Chiesa: l’educazione. In questi giorni di esercizi penso che sarebbe bene che vi chiedeste: “Come ho risposto a questo grande dono? Come rispondo? Come desidererei rispondere?”. E insisteva molto sull’importanza del desiderio in Sant’ Ignazio, del farsi indifferenti a tutte le creature e ad usarle “tanto - quanto” ci portavano a raggiungere il fine del nostro carisma: la Gloria del Cuore di Gesù.
Inoltre ci ripeteva spesso: “Per vocazione voi siete chiamate ad essere delle donne specialiste nell’Amore. E se siete veramente chiamate, il Signore vi dà la grazia necessaria per rispondervi…ma…ricordiamocelo bene, Dio non impone nulla “Si vis…se vuoi…seguimi” ha detto al giovane ricco. Dio ci ama e ci chiede di amarlo liberamente…Tocca a noi rispondere e darGli il “magis”.
A conclusione degli esercizi, tutte le sorelle, ringraziandolo della pace, gioia e serenità, che aveva infuso nei nostri cuori con il suo stile proprio calmo ed energico, dolce e forte, semplice e profondo, gli chiediamo se può continuare ad accompagnarci, venendo una volta al mese per un pomeriggio di ritiro spirituale e impegnandosi già fin da allora a guidare gli esercizi spirituali per il 1980 e anche per gli anni successivi.
Padre Ardiri, con la sua solita pace e calma ci risponde: “ Io farò tutto il possibile, se è nella volontà di Dio”.
Cosi, con la sua caratteristica disponibilità e fedeltà egli continuò a seguirci, non solo come comunità locale di Palermo, ma anche come Provincia italiana, tenendoci dei corsi di esercizi spirituali a livello provinciale, fino all’estremo delle sue forze, celebrando le funzioni del triduo pasquale dell’anno 2000, quando abbiamo ben chiaramente percepito che non stava più bene.
Io personalmente ho avuto il grande dono di Dio di averlo come direttore spirituale per ben 20 anni, dal 1979 al 1999; ho ammirato sempre la sua disponibilità, la sua fedeltà, la sua chiarezza, dolcezza e fermezza nel guidarmi nel massimo rispetto della mia libertà, senza nulla mai impormi, ma sempre tutto propormi e facendomi mettere in questione sola davanti al mio Signore, e trovare così, sola con Lui, la via da percorrere “per amarLo di più e seguirLo più da vicino”.
Nell’aprile del 1983 la mia provinciale mi propone di lasciare l’Istituto di Piazza Sacro Cuore per andare a vivere nel quartiere ZEN, come responsabile della piccola Comunità inserita fra i poveri, che viveva in un appartamentino (dove non sarei mai voluta andare) e lavorava in parrocchia alle dipendenze del Parroco.
La mia provinciale, forse sapendo bene che mi stava proponendo un’obbedienza veramente per me dura e contraria a tutti i miei gusti e alle mie esigenze, a conclusione del colloquio mi dice: “ Giovannella, ti do otto giorni di tempo per poter riflettere e pregare, poi mi darai la tua risposta”.
Già, se ben mi ricordo, facevo parte della Compagnia di Ignazio, animata e guidata da padre Ardiri ed io, una volta alla settimana, andavo al Gonzaga, per aiutarlo in cose puramente pratiche: fare le fotocopie delle meditazioni che doveva dare… qualche traduzione dal francese… ecc.; evidentemente chiesi subito il suo aiuto per guidarmi in questo, per me, non facile discernimento.
Senza alcuna esitazione, mi diede subito linee e criteri per cominciare a farlo, orientamenti che ho seguito e seguo ancora oggi:
- Leggere…rileggere...meditare…pregare… e infine verificare se ho “veramente” la volontà ferma e decisa di dire ancora una volta, non solo con le parole, ma con la vita, l’offerta al Signore che suggerisce il n.98 degli EE.SS.
- Seguire fedelmente le regole del discernimento, appuntandomi tutti i “pro e contra” e pregare…pregare!
- Prendere la decisione, confermarla possibilmente in una Eucaristia e infine metterla nelle mani della provinciale.
Non finirò mai di ringraziare il Signore per avermelo fatto conoscere. Dalla sua vita, dal suo comportamento, dal “suo modo di procedere”, dalla sua maniera di guidarmi, più che dalle sue poche parole misurate, ho imparato cosa significhi concretamene, nel quotidiano “farsi indifferenti”, “desiderare - con la vita - di dare “il magis” al Signore Gesù , “vedere tutto in Dio e Dio in tutto”, vivere come servizio l’autorità, dando la vita per gli altri, e mettendomi come Cristo ai piedi delle mie sorelle per lavarglieli, interpretare sempre in bene le intenzioni degli altri, perdonare settanta volte sette, cancellare dal vocabolario della mia mente e del mio cuore le parole: “offesa e risentimento” e infine, come superiora, non dimenticarmi mai di pagare…pagare di persona per creare, facilitare e far crescere la Comunione in comunità.
E per finire, quando gli riferivo nei miei colloqui alcuni progressi, che mi sembrava di aver fatto, mi rispondeva sempre - con il suo caratteristico tono di voce, dolce, fermo e forte, che mi è rimasto nelle orecchie, nella mente e nel cuore - queste testuali parole: “Ricordati, Giovannella, che tutto quello che di buono pensiamo, diciamo, facciamo è solo dono Suo, che noi gli restituiamo; ma glielo ridiamo veramente solo se agiamo con purezza d’intenzione, senza alcuna ricerca di essere riconosciuti o di essere ricompensati e tanto meno mirando a fare bella figura, anche inconsciamente. Se agiamo solo per la Sua Gloria, tutto ha un senso, se no è tutto vanità delle vanità. Sappi che la vanagloria s’infiltra dappertutto, perciò ti consiglio, se ti è possibile, di pregare e verificarti ogni sera con le parole di questa preghiera del sec. XVI, attribuita a S. Ignazio, che adesso ti do”, e con affetto mi porgeva una immaginetta di S. Ignazio, con retro questa preghiera: “Signore Gesù, insegnaci ad essere generosi, a servirti come Tu meriti, a dare senza contare, a combattere senza temere le ferite. A lavorare senza cercare riposo, a darci, senza aspettare altra ricompensa, che sapere di compiere la Tua Volontà”.
E poi aggiungeva: “ E se vuoi alla fine chiedi anche al Signore: “Dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia. Questo mi basta”. (EE.SS. n.234).
Ripassando nella mia memoria e facendo riaffiorare nel mio cuore tutti i numerosi colloqui avuti con lui, per ben venti anni, risento e rivivo quella indicibile gioia…pace ....e libertà interiore, che mi hanno aiutata, e che oggi, nella certezza che egli è con il Suo Compagno Gesù, nella gloria del Padre, mi aiutano ancora di più a vivere ogni circostanza della mia vita, gioiosa o penosa, allegra o triste, leggera o pesante, con grande serenità, unita al Cuore del Mio Gesù, sicura del Suo Amore personale per me e totalmente abbandonata alla sua infinita misericordia.
Signore Gesù “Grazie” per avermi fatto incontrare padre Ardiri e per avermelo lasciato, per ben vent’anni, Padre e Maestro spirituale!.

Suor Giovannella Scarlata, R.S.C.J.

venerdì 20 agosto 2010

P. ARDIRI S.J... la Compagnia di S. Ignazio - 1983-1985

A Palermo - A. BONELLO A.C.J. - … Sacerdote secondo il cuore di Dio

Ricordando padre Ardiri e cercando per lui una definizione, lo definirei
“Sacerdote secondo il cuore di Dio”.
È stato un uomo di preghiera e di profonda vita interiore. Semplice nei modi, umile e disponibile nei confronti di tutti. Molto spirituale, trattava ogni persona con la quale si relazionava con profondo rispetto e interesse.
Le collaboratrici capoverdiane, che seguiva all’inizio della sua permanenza a Palermo, erano molto contente della sua presenza attiva ed interessata.
Non giudicava mai male nessuno e scusava sempre.

Suor Anna Bonello
Ancella del Sacro Cuore

A Palermo - G. GIACOPELLI A.C.J. -… sapeva capire le debolezze altrui, avendo conosciuto la propria debolezza e fragilità

Padre Ardiri è, tra i sacerdoti, uno dei miei ricordi più amabili. Sempre disponibile, sorridente e profondamente spirituale; era un uomo di cui si poteva dire “è innamorato di Dio e appassionato all’umanità dolente” intorno a lui. Sapeva capire le debolezze altrui, avendo conosciuto ed accettato, alla maniera ignaziana, la propria debolezza e fragilità. I limiti personali che gli presentavo, nella confessione e direzione spirituale, me li faceva vedere come un “dono”, come “risorsa” per essere più vicina agli altri. Niente di quanto potesse essere umano gli era estraneo e questo ha insegnato anche a me: da chiunque può venire uno splendore di verità divina nascosta nella povertà umana.
La mia Consacrazione da lui ha ricevuto una spinta, un impulso di luce e di entusiasmo; mi ha fatto percepire, negli eventi, le tracce della “storia della salvezza” sempre in atto e nella mia chiamata una “benedizione” aperta al mondo. Allora ero giovane e alle prime armi nell’apostolato. Questa benedizione nella mia esistenza è stato il frutto della sua presenza cordiale, ma sempre discreta e piena di preghiera per me. Sapevo che sulla sua preghiera costante potevo sempre contare.
È un’eredità spirituale che ho racchiuso tra le mie esperienze più ricche e feconde:
la sua morte non toglie nulla ai ricordi, ma agevola piuttosto una comunione nello spirito come il Signore ha promesso: “Vado a prepararvi un posto”.

Suor Gabriella Giacopelli
Ancella del Sacro Cuore

A Palermo: S. M. T. Pagano - fervore di apostolato spirituale, al Collegio Gonzaga…la Compagnia di S.Ignazio -M.T. PAGANO A.C.J: … attento alle mozioni dello Spirito, saggio, fine psicologo, equilibrato . .

Negli anni ’80 nei locali della nostra casa di Palermo si svolgeva un fervente apostolato con le immigrate provenienti da Capo Verde e dal Madagascar.
Padre Ardiri la domenica celebrava l’Eucaristia per loro nella cripta; spesso le riuniva per delle catechesi interessandole con la proiezione di filmati e diapositive.
Partecipava alle frequenti feste che organizzavano per varie ricorrenze; ricordo che alle ragazze scattava molte fotografie, che poi regalava loro e s’intratteneva a parlare affettuosamente con tutte, anche singolarmente, facilitato dalla sua conoscenza della lingua portoghese.
Le ragazze gli volevano tanto bene perché padre Ardiri era molto paterno e s’interessava dei loro problemi. Quando non ha più potuto seguirle per il moltiplicarsi dei suoi impegni, continuava a chiedermi spesso notizie di loro.
Di padre Ardiri conservo tanti bei ricordi: ne riporto qualcuno.
Lo conobbi la prima volta in una celebrazione eucaristica nella nostra chiesa delle Ancelle: durante la sua brevissima omelia, avvertii un “feeling” con la mia spiritualità.
Ricordo che terminata la celebrazione mi recai in sacrestia e gli chiesi se accettava di farmi da guida spirituale. Egli, amabilmente e con molta delicatezza, mi rispose: “Lei non mi conosce ancora (vivevo da poco a Palermo), lasci trascorrere qualche tempo e poi deciderà”. Io rimasi ammirata dalla sua cordialità e dalla luminosità del suo sorriso!
Come guida spirituale era delicatissimo ed attento alle mozioni dello Spirito; saggio, fine psicologo, equilibrato. S’interessava della persona intera: fisico, psiche e spirito! In lui ammiravo anche una certa saggezza orientale: spesso, al momento opportuno, ripeteva qualche detto:
“Quando sei nato tu piangevi e tutti ridevano; quando morirai tutti piangeranno e tu riderai”.
“ Il Signore ci ha creati con due orecchie e una sola bocca perché c’impegnassimo ad ascoltare molto e a parlare poco!”.
Quando veniva a celebrare nella nostra chiesa, tutte godevamo per le sue omelie, brevi, ma dense di spiritualità; alcune erano dei veri gioielli di consigli pratici che ci aiutavano ad approfondire il nostro rapporto con il Signore.
Padre Ardiri amava tanto Gesù Cristo e, quando parlava di Lui, lasciava dentro un desiderio forte di seguire il Signore.
Un anno, in cui non ero riuscita a fare gli esercizi con la mia Comunità, gli chiesi se potevo farli guidati personalmente da lui. Era agosto, il caldo feroce palermitano invitava tutti a fuggire dalla città… Lui mi rispose con tanta amabilità che proprio in quel periodo il fratello gli aveva regalato un viaggio all’estero, ma che avrebbe rimandato la data per darmi gli esercizi! Sono stati un’esperienza intensissima d’incontro con Dio che hanno lasciato un solco importante nella mia vita! Per di più mi ha regalato un grande esempio di abnegazione e di amore alle anime.
Ho appreso la notizia della sua malattia con grande dolore, avvertendo anche una grave perdita per le tante persone che si facevano guidare da lui nel cammino verso Dio. Sicuramente vicino al suo Signore che ha tanto amato e servito da vero gesuita non tralascerà di intercedere per il bene di quanti abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo!

Suor Maria Teresa Pagano
Ancella del Sacro Cuore

A Messina - Francesco Prestipino Giarritta - ... abbia pace e ce la dia, perché è un ascoltato intercessore

Ho conosciuto, nella mia vita non più breve, rarissimi esempi di rigore e di rispetto insieme nel comandare e nel redarguire con un elevato senso dell’ordine e una partecipazione del cuore; padre Ardiri faceva trasparire l’unzione del sacerdote
e addomesticava la severità del suo ministero con la cordialità del magistero attento all’età, al carattere, all’insopprimibile odore umano di chi s’illuminava ai suoi occhi e si modificava nell’umore e nello spirito alla sua parola pacata e suadente.
Ci portava alle altezze, lui mingherlino, della sua spirituale paternità.
Non si dimenticavano moniti e misericordia e si aveva sempre l’impressione di essere confessati e assolti, avviati su vie diverse di compunzione e di entusiastici propositi. Veniva dal di dentro, da lui che non si faceva esterno, la spinta d’amore
che si traduceva in progetti di redenzione e di avanzamento.
Il rettore, il ministro con alunni e professori – io ho insegnato alla sua scuola – si consumavano, insomma, in atti d’irripetibile umanità.
Anch’io ho saggiato l’umano di questo sacerdote gesuita anche quando ho avuto, con la mia famiglia, la sollecitata occasione di spartire a mensa lo stesso pane e di bere lo stesso vino. Non era, quando fu la prima di tante volte, ancora minacciato
dal male, che col dolore della sua sofferenza lo ha fatto avvicinare alla pazienza del divino crocifisso. È mancato ai miei inviti e non l’ho trovato spesso nella sua nicchia di patimento: avevo pudore di ostentare il mio passo e la mia voce a chi non dava né l’uno, né l’altra.
Padre Ardiri, il medesimo nella vita attiva e nella sua rinunzia alla dimensione di questo mondo. Ci perdoni e preghi per noi! La sua promessa di pregare per me l’ho avuta la prima volta che l’ho conosciuto e ne volevo immediatamente conservare il privilegio. Ma sono certo che l’abbia rinnovata tutte le volte che ha visto il mio viso e sentito le mie parole.
Abbia pace e ce la dia, perché è un ascoltato intercessore.

Francesco Prestipino Giarritta

mercoledì 18 agosto 2010

A Messina - F. CARDULLO:… p. Ardiri vive in me, lo penso e lo ringrazio, finché io stesso vivrò

Martedì mattina, del 22 gennaio 2008, appena ho appreso la notizia, sono andato all’Ignatianum: volevo vederlo per l’ultima volta, avevo la coscienza inquieta perché, malgrado lo avessi pensato, non ero riuscito ad andare a trovarlo durante le vacanze di Natale.
Quasi alla fine del largo corridoio, piuttosto buio, del secondo piano, sul lato destro, affacciata verso il mare, c’è la cameretta dove ha vissuto gli ultimi anni.
Oltre la camera una stanza piccola adibita a cappella, molto semplice, dove ascoltava la messa, quasi muto, ed io con lui quando mi capitava di andare a trovarlo.
Lì giaceva dentro la bara aperta, coperto da un velo trasparente, dalla testa ai piedi, in una inconsueta posizione rannicchiata. Gli occhi erano semiaperti, si vedevano le orbite, che luccicavano, brillavano quasi, e mi guardavano. Il volto scarnificato, il corpo piccolo e raccolto. Ho ascoltato la messa che padre Mangione, seduto in una sedia a rotelle, recitava a non più di cinque confratelli, tutti anziani e malandati. Sono convinto che la preghiera condivisa, guardandolo negli occhi, sia stato il migliore ultimo ricordo possibile. Verso la fine è arrivata la madre con altri parenti: nessun padre e nessuna madre dovrebbero sopravvivere ai propri figli.
Ho svolto tutta la mia formazione scolastica al Sant’Ignazio di Messina, dal 1958 al 1971. Ho conosciuto padre Ardiri durante questo periodo, quando tra il 1968 ed il 1973 è stato rettore del Collegio, credo l’ultimo rettore durante il periodo difficilissimo, immagino, della decisione di vendere e demolire, per sanare debiti dell’Ordine, un edificio, di qualità architettonica notevole su progetto di Antonio Zanca, ma anche un luogo simbolicamente molto significativo per la città di Messina.
Nel 1971 sono andato a Palermo a studiare, ed il Collegio nel frattempo lo demolivano dall’interno verso la facciata esterna, l’ultima ad essere abbattuta.
Gli anni della scuola sono stati ricchissimi per la mia formazione, i compagni erano solo maschi, e molti docenti padri gesuiti, e padri spirituali molti altri gesuiti, tutti differenti tra loro e ricchissimi nel personale contributo alla formazione, soprattutto spirituale.
Ma non padre Ardiri: non ho alcun ricordo da alunno, se non la severità ed il distacco del suo sguardo di allora, né di attività di insegnamento né di attività spirituale.
Non vorrei sbagliarmi ma credo che il suo magistero, da sempre, si esercitava nel dirigere senza clamori esteriorizzati e, in una seconda fase della sua vita, nel saper parlare al cuore di persone relativamente grandi; ma non a giovani di periodo scolastico.
Nel 1976 sono tornato a Messina e sono tornato al Sant’Ignazio, nel frattempo spostatosi all’Ignatianum, come docente di Disegno e Storia dell’Arte nel Liceo Scientifico, dove ho insegnato sino al 1998/1999. Ho reincontrato padre Ardiri nel 1992 quando fu nominato rettore dell’Ignatianum, come comunità che si occupa di varie attività, e come direttore della scuola Sant’Ignazio, lì trasferitasi; carica che ha ricoperto sino al 1995. Abbiamo incominciato a frequentarci e non ci siamo più lasciati.
Nel suo ruolo di rettore e direttore, anche questa volta, dirigeva, ma non insegnava né a scuola né all’Istituto Teologico, ciò malgrado la grande penuria di padri gesuiti che potessero dare identità all’Istituzione Collegio Sant’ignazio, che si declinava sia nell’insegnamento che nella formazione spirituale dei giovani. Ordine che a Messina, malgardo le gloriose origini cinquecentesche, va inesorabilmente scomparendo ed affievolendosi sempre più, non tanto come insegnamento, chè ancora continua, ma come formazione spirituale sì. Adesso dirò del suo magistero come direttore, ma credo che il suo grande magistero come educatore dell’anima fosse il tentativo di trasferire ad alcuni laici (in assenza di padri spirituali), e ho la presunzione di pensare a me in particolare, una formazione spirituale da trasmettere a mia volta ai giovani alunni della scuola, o in altri luoghi di lavoro ed insegnamento,come in effetti per me è avvenuto ed avviene. Missione che si è interrotta con la sua malattia e con il mio successivo allontanamento, non voluto, dalla frequentazione,mia e della mia numerosa famiglia, del Collegio.
Come rettore della casa e direttore del Collegio il suo lavoro si esplicitava in un impegno notevolissimo per rilanciare, o non far morire, per rivivere, o perseguire gli antichi fasti del Collegio Sant’Ignazio di Messina: prima della emorragia di confratelli e di studenti.
Si occupava di tutto, lavorava a tutto, pensava e progettava tutto: dagli aspetti strutturali, a quelli organizzativi, a quelli didattici, a quelli infine spirituali. Trovava in me una persona generosa, ma anche un architetto che non chiedeva nulla in cambio,e quindi a nostra volta generosamente ci tuffavamo in tutto.
Ho progettato per lui di tutto: da un padiglione di ingresso per Giovanni, il portiere, per migliorare gli accessi al recinto dell’Ignatianum; ad un palazzetto dello sport, per aumentare la dotazione di attrezzature sportive per gli alunni; da una nuova viabilità e sistemazione delle aiuole e della recinzione, per agevolare i flussi di auto e moto all’inizio ed alla fine delle lezioni; allo spostamento delle cucine della casa, dal piano terreno al terzo piano, per andare incontro alle difficoltà di mobilità di padri sempre più anziani; da un giardino per l’infanzia, che doveva accogliere i bambini più piccoli in un pezzo di terreno inutilizzato; ad una sorta di piccolo museo, nel matroneo della chiesa, che ospitasse e mostrasse i pezzi che si erano salvati dalla demolizione del Collegio di Piazza Cairoli; dal nuovo soggiorno panoramico con loggiato, a servizio dei padri con difficoltà di movimento; a nuove cappelle, al posto di camere sempre più vuote. Anche oltre i confini messinesi: una volta mi ha fatto andare a Palermo perché si voleva occupare di levare l’acqua dagli scantinati di Casa Professa, per farne un museo. Quasi nulla siamo riusciti a realizzare, spesso lo dovevo proteggere dai pescecani.
E poi l’organizzazione e l’allestimento della Fiera Missionaria, con teli che abbiamo fatto arrivare dalla Spagna; le funzioni della notte di Natale e quelle della notte di Pasqua, quando moltissimi alunni ed ex-alunni si stringevano attorno a noi e ritornavano ad incontrarci e abbracciarci.
Nei consigli di classe non è mai venuto, nella didattica non ha mai interferito, non mi ha mai raccomandato un alunno. Come era giusto che fosse si occupava e cercava di rendere sempre più bella la struttura e sempre più efficiente l’organizzazione di tutte le attività.
Ma soprattutto, sopra ad ogni altra cosa, si preoccupava della cura dell’anima, della base e del fondamento degli insegnamenti spirituali ignaziani, che solo in un secondo momento diventano cultura ed azione. Portò me ed un piccolissimo gruppetto di quattro persone, a fine agosto del 1993, a Castelgandolfo, nell’Oasi di Villa Sorriso, per partecipare a quella sorta di master motivazionale ignaziano che era il “Colloquium 1°”, e poi a dicembre dello stesso anno ad Altavilla, vicino Bagheria, per lo stesso motivo; partecipando insieme a padre Pavone ed ad altri docenti di Palermo, per tutto il 1994, ad una preparazione che portò alcuni di noi, ma non lui, a organizzare come tutor due “Colloquium” nel 1995.
Cura dell’anima che ha trovato una magistrale manifestazione ed espressione nella conduzione degli Esercizi Spirituali, nella particolare forma chiamata della “Vita corrente” o della “Vita ordinaria”, che hanno svolto un ruolo centrale negli ultimi anni della sua vita.
Il 30 settembre del 1993, nella sala di piano terra dell’Ignatianum, c’è stato il primo incontro di presentazione, quando addirittura eravamo tanti da doverci poi suddividere in tre gruppi; quando ci fa vedere un documentario di Folco Quilici sulla vita di Sant’Ignazio; sino all’ultimo del 6 maggio del 2001, che parlava di “Consolazioni e Desolazioni”, ad un solo sparuto gruppetto superstite di una decina di persone. Sono stati sette anni di esperienze spirituali, affrontati con grandissimo impegno a cui sono mancato una o due volte al massimo, che hanno significato una carpetta alta dieci centimetri piena zeppa di schede, immagini, fotografie, preghiere, cartoline, foglietti vergati con frasi e citazioni di santi o padri spirituali, tre quaderni fitti di appunti ed una solidissima, almeno spero, ossatura interiore che mi consente di vivere e operare, nel miglior modo possibile, alla ricerca del bene degli altri.
Nella formazione, da alunno, ed in seguito da adulto, nella curiosità di ascoltare altri padri che guidavano e guidano gruppi, ho partecipato a varie esperienze, ma queste di padre Ardiri mi sono sembrate le più giuste, le più vere.
Il gruppo era eterogeneo, e questo era un fatto direi fondamentale: sia per età che per cultura. Non eravamo tutti docenti, o professionisti, o laureati, o borghesi, o intellettuali: dalla anziana casalinga, alla vedova, all’impiegato, al maturo commerciante, al medico affermato, alla giovane scrittrice, alla divorziata, allo studente universitario, alla segretaria. Non costituivamo una specie di setta, come succede, a volte, in questo tipo di gruppi, per cui i riti e le funzioni sacre dell’anno si seguono soltanto con la guida spirituale, se lui non c’è, il nulla; al contrario, non abbiamo mai seguito come gruppo la messa o altre funzioni con padre Ardiri, ognuno aveva i suoi riferimenti consolidati altrove: la parrocchia, la chiesa più vicina, niente. Ci incontravamo ogni quattordici giorni, con il nostro compitino da svolgere durante le due settimane, cercando di scalare quella difficilissima montagna che è la fede in Dio, e la preghiera.
La preghiera, certo la preghiera. Durante l’incontro, ognuno ascoltava l’altro e le sue riflessioni sul tema ignaziano lanciato due settimane prima, e soprattutto ascoltava padre Ardiri e le sue risposte: sempre pacate, sempre col sorriso, sempre dolci, sempre piene di speranza ed ottimismo, mai ideologiche, mai sociologiche, mai pseudopsicologiche, mai intellettuali o pseudointellettuali, semplici, franche, serene, intrise solamente di preghiera e meditazione individuale. Ci sommergeva di foglietti o fotocopie o cartoline o immagini sacre con brevi frasi o con preghiere universali che distribuiva a tutti noi: orientali, occidentali, cristiane e non, di santi e di martiri, di uomini e di donne. Sempre azioni tese a cambiare in profondo se stessi, il proprio io, la propria anima, il proprio pensiero e poi, solo poi, l’azione ed il comportamento. Poche e misurate parole, mai comizi, mai lunghe prediche. Ci insegnava a pregare personalmente, sempre, tutti i giorni, in tutti i modi, anche in macchina mentre guidiamo, da soli. Ma anche con i figli, con leggerezza, senza alcuna pesantezza bigotta o devozionale.
Ci telefonava per l’onomastico, ci incontravamo in modo conviviale con delle piccole festicciole per farci gli auguri nelle grandi feste e dopo l’ultimo incontro prima dell’estate. Era sempre in movimento, infaticabile. È partito con tre gruppi, con tanta gente, poi ridotta ad un piccolo gruppo di una decina di persone. Ma non ha importanza, ha dato tutto se stesso e qualcosa ha sicuramente lasciato, a molti o pochi non ha importanza.
Era buono e generoso, e dava e chiedeva molto da chi capiva gli assomigliava.
Per telefono gli chiesi aiuto, per trovare ospitalità in una casa dello studente dei gesuiti, a Padova per il mio primogenito, capendo le mie difficoltà economiche di mantenimento di un figlio fuori sede si offrì di darmi del denaro, mensilmente, prelevandolo da quello che dava alle persone bisognose. Naturalmente, arrossii, per telefono, e gentilmente declinai l’offerta in favore di qualcun altro più bisognoso di me, ma mi colpì molto.
Alla data del 9 ottobre del 1993, secondo incontro del primo anno di esercizi trovo scritto nel mio quaderno di appunti: Motivazione degli Esercizi Spirituali: cercare la volontà di Dio, rendersi più libero; esperienza dello spirito e non esperienza culturale; sforzo della volontà e non della nostra personalità. Queste sono ancora, e spero per sempre, le motivazioni che mi spingono in ogni gesto della mia vita, e quindi di quello che faccio come padre, insegno come professore, agisco come uomo.
Quasi ogni mattina, quando ancora tutta la casa dorme, con poca o giusta luce, con il freddo od il caldo, mi seggo in una poltrona vicino alla vetrata, con un capitello di cemento accanto su cui è poggiata la Bibbia, od altri testi sacri, e leggo una pagina o poco più: in questo modo padre Ardiri vive in me, lo penso e lo ringrazio, finché io stesso vivrò.
Francesco Cardullo

martedì 17 agosto 2010

A Messina - inizio di una vocazione e di una missione, al Collegio Sant’Ignazio - Giuseppe Raffa: In memoria di un amico gesuita...

Mi si chiede un pensiero su padre Ardiri. Ricordare Pippo Ardiri e i tanti anni pieni della sua presenza in mezzo a noi non è facile, nonostante i doni ed i ricordi che ci ha lasciato.
Non è facile, per il vuoto che avvertiamo, insieme al rammarico per quanto poteva ancora darci. Balzano, infatti, subito alla mente questi ultimi tempi di muta presenza,
di lenta ascesa al calvario; e quel grazie, in occasione delle visite sempre più diradate, accennato solo con gli occhi. Il ricordo è aggravato ancora dal rimpianto personale, che solo adesso sento colpevole, per le mie assenze durante questo suo ultimo difficile passaggio terreno.
Di Pippo Ardiri recupero, attraverso il velo della commozione, l’incontro da adolescenti nel primo dopoguerra al Sant’Ignazio di Messina, l’immediata stima, presto trasformatasi in familiarità, poi, gli anni degl’incontri occasionali e fugaci, al tempo della sua lunga assenza dalla città e infine i costanti e impegnativi rapporti degli ultimi decenni. Ma a pensarci bene, lungo le nostre esperienze parallele, ho incontrato un solo Pippo Ardiri, racchiuso nell’inconfondibile ed immutabile sorriso accennato da indifeso, immagine di uomo semplice ed espressione eloquente, anche per chi lo incontrava per la prima volta, di un’interiorità fatta di dolcezza, umiltà e naturale disposizione verso gli altri.
Lo stesso ragazzo che ritrovo nei ricordi, solo, in un angolo nel cortile delCollegio - frequentavamo classi diverse - a guardare il rincorrersi degli altri, con la timidezza dell’adolescente spaesato. Lo notavo in quanto ci assomigliavamo: ambedue ragazzi di periferia capitati lì, io chi sa per cosa, e lui per un più importante disegno della Provvidenza. Forse era l’austerità del luogo, la coscienza già in noi di quanta tradizione abitasse quelle mura - e non certo l’autorità dei padri o l’ambiente selezionato - che ci metteva soggezione, senza però farci sentire emarginati o esclusi.
Poi dopo molti anni, da papà, negli stessi luoghi lo ritrovo rettore. Lo ritrovo in questa nuova veste, sempre misurato negl’interventi, con la serenità di chi assume un ruolo per ubbidienza e spirito di servizio, gestendolo con impegno e tensione. Ed è per queste doti, credo, che più volte è stato scelto a ricoprire il rettorato o altri incarichi di responsabilità, specie in occasioni critiche come nel caso del trasferimento e della distruzione dell’istituto. Evento sofferto dai Padri e da tutti noi vicini alla Compagnia come travaglio personale; e da lui accettato e superato con l’equilibrio naturale dell’uomo fiducioso negl’imperscrutabili “disegni superiori”.
Ancora lo ricordo negli anni più intensi del reciproco, anche se occasionale, sostenerci a vicenda tra bisogni di spiritualità e concretezza, nello scambio di esperienze diverse: al tempo del suo rettorato all’Ignatianum e della mia gestione degli ex alunni, e ancor più durante la forte esperienza degli esercizi spirituali.
Questo capitolo degli esercizi merita qualche riga in più. Pippo era, come i migliori preposti a questo ufficio “persona dotata di equilibrio psicologico, conoscenza attenta dell’animo umano e squisita sensibilità”, prerogative che gli permettevano la risposta giusta ad ogni dubbio. Mentre la profonda preparazione spirituale gli consentiva di farsi capire con semplicità. Dono che penso possedesse da sempre.
Per questo era convincente oltre che colto, in quella esposizione minuta, convinta, attenta: “puntuale omaggio alla necessità di ricercare, per l’uomo e l’uomo di fede, attraverso il discernimento, la volontà di Dio durante il percorso terreno”.
Percorrendo con lui questa esperienza ho avuto, da uomo pratico e razionale, la conferma di quanto fosse necessario “fissare un riferimento utile per porre ordine nella propria vita, rivedere la rappresentazione di Dio secondo il Vangelo di Gesù e rinsaldare la certezza di essere oggetto di un disegno personale e di uno sguardo benedicente da parte di Dio stesso”. Così dopo questo percorso guidato e l’intimità di cui solo oggi provo coscienza, mi è facile riconoscergli di essere entrato in punta di piedi nella mia vita, mentre io entravo a gamba tesa dentro la sensibilità del consacrato con i miei “carichi pendenti”.
In questi sessant’anni di frequentazione continua con la Compagnia, ho conosciuto parecchi Gesuiti: alcuni santi già in mezzo a noi, altri eroi in terra di missione, molti colti in cattedra oppure forti nella fede… Li ritrovo un po’ tutti in Pippo: santo per la sua mitezza, colto per i suoi esercizi, saldo ed eroico nella fede in questi ultimi anni segnati dalla sofferenza e offerti in dono, durante la purificazione nella malattia.
Pippo, in estrema sintesi, è stato tra quei pochi che la Provvidenza destina a nascere maturi - già vecchi sin dall’infanzia - e a donare agli altri questa rarità attraverso il consiglio, il sostegno nei passaggi difficili e la semplice testimonianza dei propri atti. Alla fine della loro missione, penso che questi privilegiati ci lascino come ci ha lasciati Pippo: con il cuore del bambino saggio, in disparte nel cortile.
Ciao Pippo, spero e auguro a me stesso di rivederti.
                                                     
Giuseppe Raffa

martedì 10 agosto 2010

C. Russo: Ricordando p. Giuseppe Ardiri: un operaio mite e docile (1)

Ricordando p. Giuseppe Ardiri: un operaio mite e docile (1)

È proprio vero che la fede e l’amore uniscono coloro che la morte separa.
“Selezione” del Riders Digest mensilmente presentava un articolo, sempre diverso come contenuto, ma uguale come titolo: “Una persona che non dimenticherò mai”. Erano testimonianze di persone che raccontavano esperienze di incontri straordinari che avevano portato un fecondo-benefico influsso nella loro vita da non poter essere più dimenticate.
Allora, ragazzo, non potevo sapere che questo titolo un giorno l’avrei applicato e dedicato con grande affetto a p. Ardiri.
Noi ci portiamo nel cuore quelle persone che, per il loro costruttivo esempio di vita, hanno depositato in noi tanta ricchezza ma anche tanta nostalgia per la loro partenza. Ci mancano perché sono state troppo preziose alla nostra vita, per i valori che ci hanno trasmesso, per la loro coerenza e per la loro saggezza, ma anche per il loro sostegno, amicale o paterno, stabile e sicuro.
È impossibile per me parlare di p. Ardiri soltanto e come un soggettivo “Sé”, come di uno che costruisce l’immagine di lui con uno sguardo che coglie dall’esterno, ma in relazione a come ho esperimentato in me la sua lunga vicinanza, tanto sono stratificate nel mio animo le numerosissime e comuni esperienze di vita.
Raccontare, quindi, di lui vuol dire parlare anche di me, del mio vissuto con lui.
Non pura e semplice biografia, non raccolta di documenti della sua storia, ma ricordo di un profondo e particolare rapporto esistenziale, all’interno di una uguale e personale chiamata, nello stesso ordine religioso.
Già all’ottava p. Sibilio ha messo in evidenza molti aspetti importanti della vita di Giuseppe, presentandone un quadro bello e interessante, anche se sono convinto che la migliore omelia su di lui è quella che ognuno di voi ha già scritto nel suo cuore e lì la custodisce.
Siamo riuniti qui, attorno alla mensa del Signore, perché vogliamo ricordare e pregare per e con un amico, un fratello, un maestro, un padre…un uomo di Dio che ha fatto della sua vita una continua tensione, un dono d’amore per Dio e per i fratelli. Un uomo che era tutto di Dio e tutto dell’uomo, che metteva Dio al primo posto nella sua vita e che era allo stesso tempo (secondo un’espressione cara e ignaziana) un uomo con gli altri e per gli altri…senza stanchezze, né cedimenti.
Un uomo che ti veniva sempre e subito incontro. Il mio primo incontro con lui avvenne circa quaranta anni fa e subito intuii in lui qualcosa di nobile e di nuovo.
Da poco avevo terminato gli studi di filosofia e il magistero e fui destinato a essere ministro accanto a lui, Rettore. Era un momento molto difficile quello, a causa dello spostamento del Collegio S. Ignazio e del suo inserimento nella grande struttura dell’Ignatianum, Casa con tante opere e con due diverse Comunità che non riuscivano a integrarsi e a trovare una linea di vita unica e comune. Fu quello un lungo periodo di conflitti e tensioni sotterranee fra le Comunità per motivi che sembravano insormontabili.
E p. Ardiri… in questo campo di battaglia, nella ricerca di soluzioni e di accordi per il bene comune, sempre desideroso di essere costruttore e portatore di unione in questa, anche per lui nuova e complessa, realtà.
In questa situazione problematica, a causa della mia giovane età, si rese subito conto della mia inesperienza e delle mie incertezze, e in un sereno e rinfrancante dialogo mi disse:
“Per quanto mi riguarda, ti do ampio spazio di azione e di iniziative. Collabora con me e addossa su di me eventuali malumori o critiche che devi inevitabilmente attenderti dagli altri nella conduzione del tuo compito”.
Ammirai e apprezzai molto questo suo intervento-incoraggiamento (da chi era notevolmente coinvolto in una difficile situazione), tanto che, da quel momento, sperimentai grande serenità, pur nel turbinio degli impegni. Questa fiducia e appoggio potenziarono molto le mie risorse e il mio intuito nella soluzione dei numerosi e delicati interventi.
Intanto l’intesa con lui si arricchiva di grande stima e confidenza, premesse della nostra futura amicizia, mentre cresceva sempre più in me la volontà di stare sempre dalla sua parte in tutto… e davanti a tutti.
Ricordo le Messe celebrate con lui, io ancora …chierichetto; i momenti di preghiera vissuti insieme; le esortazioni spirituali reciproche. Ricordo le incomprensioni e le ingiuste critiche alle quali rispondeva sempre in maniera delicata e costruttiva.
Rammento anche i suoi momenti di stanchezza, dai quali però risorgeva – come d’incanto – più forte di prima.
Per motivi di lavoro abbiamo viaggiato e girato molto insieme. E questo sempre per cercare, trovare, inventarsi delle soluzioni e migliorare così la vita concreta e spirituale della Comunità. E intanto aveva sulle spalle la responsabilità di un Collegio…
Qui, al Gonzaga, dove è stato prima Superiore e poi Rettore, ho vissuto con lui il periodo più lungo. Come sempre aveva una capacità lavorativa straordinaria. Non trascurava nulla per rendere l’Istituto un Centro di formazione integrale, efficace ed efficiente.
Con lui cominciò quel lavorio di formazione spirituale dei docenti, ai quali si sforzò di comunicare quella spiritualità ignaziana che doveva informare l’insegnamento, le attività, gli studi, il lavoro con i ragazzi. In questo contesto si interessava molto del mio compito di animatore spirituale, aveva piacere che lo rendessi partecipe: approvava… e poi mi spronava a non stancarmi di essere sempre più inventivo e creativo.
Qual era il segreto di p.Ardiri?
La sua grande umanità e la sua ricca spiritualità, che facevano di lui il p.Ardiri che conosciamo.
Concepiva il servizio come il dono totale di sé a Dio, come la più grande grazia che si potesse ricevere, la sorte più felice, la sua vera eredità.
Riteneva il servizio a Dio come la vera grandezza dell’uomo, perché è ordine e armonia; perché attraverso il servizio il dono risale a chi lo ha donato.
Mi diceva che si sentiva di vivere come un buon servo nelle mani infallibili del suo Re e Signore.
Viveva il suo servizio apostolico come imitazione e partecipazione all’opera di Cristo.
Mi viene spontaneo fare un riferimento alla visione alla Storta, dove Gesù, portando la croce, dice a Ignazio: “IO voglio che tu ci serva!”.
Chi potrebbe dire che questo comando non sia stato pienamente accolto e vissuto da Giuseppe, fedele e indefesso servitore del magis, della maggiore gloria di Dio? Per questo la sua vita era una continuo servizio di amore per Cristo e di dedizione verso i suoi fratelli. Tutti noi ci siamo resi conto come non c’era nulla e nessuno che potesse impedirgli di sempre intervenire, aiutare, soccorrere, fare del bene.
Per S.Ignazio infatti “l’amore non è un sentimento vago: esso deve dimostrarsi più nelle opere che nelle parole” (EE.SS.230-231).
Giuseppe era l’attualizzazione di una antica e sintetica definizione della carità:
“Caritas oculus vigilans est!”. La carità è un occhio sempre vigile e attento ai bisogni e alle esigenze degli altri, che riesce anche a capire con anticipo.
E i sacrifici, legati al suo instancabile lavoro per gli altri, venivano ricompensati da Dio con quella ricchezza di beni che ricadevano su di lui e sui suoi amici.
Infatti uno strumento quando è unito a Dio è come un cristallo terso e senza deformazioni che fa passare con nitidezza la luce. (Non è difficile provare questa verità perché i frutti sono qui, in mezzo a noi, in noi e parlano da soli… con la nostra orante presenza qui).
Mi piace ricordare Giuseppe come un operaio mite e docile. Di lui mi è stato
detto:”Se aveva un difetto era di essere troppo buono, incapace per natura, ma specialmente per virtù, di fare del male”.
L’unica e la prima volta che egli ha dato un dolore alla mamma, ai suoi familiari, agli amici tutti è stato quando ha chiuso i suoi occhi. Ma dietro l’aspetto di questo uomo mite e buono c’era una tempra di ferro. Un uomo soave… ma determinato, volitivo e forte. Una roccia! Un uomo fondato sul“Magis”, cha sa leggersi dentro, e sostenere una instancabile lotta interiore nella continua ricerca del meglio, di ciò che più piace a Dio, che sa trasformare la fede in vita concreta, che sa ascoltare il Signore che parla alla sua creatura e sa distinguere la Sua voce dalle tante altre che risuonano nel cuore dell’uomo.
“Siamo docili operai di Dio”- mi diceva - e il nostro lavoro diventa incessante perché divino”, secondo le parole di Cristo che guariva anche di sabato: “Mio Padre lavora sempre e anch’io lavoro”, e ancora:“... e non avevano nemmeno il tempo di mangiare” come riferisce Marco.
Grande conoscitore degli Esercizi di S.Ignazio, mi diceva quale grande fascino aveva da sempre esercitato su di lui la “Chiamata del Re eterno:“Chiunque vorrà venire con Me, dovrà similmente faticare come Me di giorno e vigilare la notte, affinché poi abbia parte con me nella vittoria” (n° 93).
Quest’aspetto era un fatto connaturale. “Vieni a distenderti un po’. C’è un ottimo programma in TV!” “No, - mi rispose – perché mi sembrerebbe una perdita di tempo”. Si riposava, sì, ma pensando, programmando e realizzando qualcosa per gli altri.“Sono le tensioni interiori - diceva - che stancano, non il lavoro…specialmente se esso è fatto per amore di Dio”. Possiamo prenderlo come un paradosso, ma sembrava che si riposasse lavorando.
Ricordo qualche altra sua espressione, di tanti anni fa. Era come un motto giovanile:
“Fare degli uomini dei buoni cristiani e di tutti i cristiani dei santi! Far crescere e maturare uomini e donne… appassionati di Cristo, appassionati degli altri.
E il Regno di Dio si popola e si abbellisce, cresce in numero e in merito”.
Ma per fare questo sentiva indispensabile una vita di unione con Dio, la preghiera,la docilità allo Spirito Santo. E allora l’azione diventa contemplativa (e viceversa), si riesce a vedere Dio in tutti e in tutto, e in ogni cosa si scorge il tocco di Dio.
Sappiamo bene che è solo per mezzo di persone carismatiche, di persone spirituali, cioè ricche dei doni dello Spirito Santo come p.Ardiri, che è possibile tale crescita, in quanto le loro vedute intellettuali, i loro giudizi di valore, i loro sentimenti sono misurati sull’ideale di Cristo, alla sua bellezza, alla sua ricchezza, alla sua sapienza. Leggiamo S. Paolo:
“È Dio che per grazia ha costituto alcuni apostoli, altri profeti,
altri evangelisti, altri pastori e dottori…per compiere l’opera del ministero delle anime per l’edificazione del Corpo di Cristo.
È in virtù sua che tutto il Corpo cresce mediante l’attività propria dei suoi membri” (Ef. 4,11-17).
Ho voluto balbettare fin qui qualcosa su p.Ardiri apostolo. Ma che dire sulla sua capacità di ascolto, sul suo spirito di accoglienza, sulla sua sempre pronta disponibilità.
Col suo atteggiamento sereno, aveva il dono di farti sentire tranquillo, quieto, rappacificato. Aveva nell’accoglienza qualcosa in più dello scontato e profondo rispetto da dare a qualsiasi persona. Avvertivi in lui un sereno atteggiamento di disposizione di animo che andava oltre…
Possedeva l’intuito dell’“occhio spirituale” di chi vede negli altri dei figli di Dio, che il Padre manda a te in particolare, per prenderti cura di loro e ciascuno con la sua particolare e irripetibile storia, da accompagnare nel cammino di questa vita, fino alle porte del cielo.
A volte mi chiedevo: “Ma come fa a concedermi tanto tempo e in qualsiasi momento della giornata, quando so che ha un’enorme mole di impegni?”.
Eppure ti faceva sentire a tuo agio, come se tu fossi, in quel momento, l’unico suo pensiero. Per questo credo di affermare il vero se dico che le sue erano “amabili accoglienze”.
E poi arriva al galoppo il grande silenzio!!! Mi ha profondamente toccato e mi ha lasciato stupito l’epilogo della sua vita… un lungo epilogo, che solo in Gesù trova la sua risposta.
Gesù ci ha rivelato ciò che lui stesso ha vissuto per primo: sono l’amore, l’offerta e il sacrificio di se stessi che rendono il proprio apostolato fertile. È la morte a sestessi per amore che porta frutti di vita eterna:
“Se il chicco di grano non muore…!”.
“Anche se dessi il mio corpo a bruciare, ma non avessi la carità…”
È stato l’amore oblativo la molla del suo apostolato, ma c’è una legge della Grazia che ci rivela il suo valore retroattivo circa l’applicazione dei suoi benefici sul proprio trascorso servizio apostolico.
La vita di p. Ardiri, vissuta senza soste, è stata tanto ricca di effetti di grazia, perché è stata innaffiata e benedetta anche dalle sue sofferenze future, di costrizione alla immobilità, di annullamento di sé, di apparente non-senso per la ragione umana, ma colmi di vita eterna per chi ha la fede.
Il Signore ha benedetto il suo passato perché il suo futuro è stata crocifissione accettata e offerta, come quella del suo Signore e Re. ”Quia ipse voluit”.
È l’intenzionalità pura che rende graditi a Dio qualsiasi dono, qualsiasi offerta, qualsiasi sacrificio.
La passione di p.Ardiri è stata un’assimilazione a Cristo sofferente, il destino di ogni anima di lui innamorata. Dio unisce ancor più intimamente al suo figlio Gesù specialmente coloro che chiama a una particolare missione.
Perciò, il suo passato: un dono di amore; il suo futuro: fertile sorgente di grazia.
Lui, guida e maestro delle anime, è diventato il pastore che dà la vita anzitempo, prima di ogni previsione umana, che muore per le sue pecorelle, per i suoi amici e compagni di vita.
Resto molto colpito al pensare che c’è un tipo di morte, che si presenta pur essendoci ancora la vita, nella perdita delle qualità e potenzialità più care e preziose per ogni uomo. Tanto attivo, ha bevuto il calice dell’inattività, la coppa dell’immobilismo; tanto capace nel dire, nel porgere, nell’ascoltare, nell’annunziare, nel discernere ha fatto l’esperienza (consapevole e silenziosa) dell’impedimento al dialogo, alla comunicazione e allo scambio.
Chissà quante volte, nella sua vita, ha elevato con ardore e generosità al suo Signore la preghiera del suo fondatore:
Signore, prendi la mia intelligenza, la mia volontà, la mia libertà, la mia memoria… tutto quello che ho me l’hai donato Tu, a Te lo restituisco.
Dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia. Questo mi basta..
Il Signore lo ha ascoltato!!!... Ha accolto la preghiera del dono di tutto se stesso, che può essere un’offerta che può arrivare fino alla perdita, all’annullamento totale di se stessi. Il suo Signore e Maestro, che lo ha preceduto in questa via, lo ha unito a sé… lui che “Annientò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo il Padre lo ha esaltato!”.
Donazione, passione, croce, morte… glorificazione. Voglio inserire p.Ardiri in questa misteriosa ma vivificante logica divina. Le anime costano!
Se un santo si rivela nel dono totale di sé, nella prova e nella sofferenza (apparentemente inutile), allora non ho paura di affermare che Pippo lo era. Sono per lui le Parole di Dio:
“Chi è quell’uomo che è stato fedele nella prova fino alla fine?
Portatemelo qui e gli darò la corona della gloria”. Oppure:
“Vieni mio servo buono e fedele, prendi possesso del trono preparato per te da tutta l’eternità. Entra nel gaudio del tuo Signore”.
Fratelli, nessun lamento è mai uscito dalla sua bocca, nessuna protesta, come un agnello mansueto, ubbidiente ai Superiori, nell’abbandono fiducioso a Dio… In vita e in morte p. Ardiri è stato per noi tutti un esempio, più che edificante, di dono e di offerta di sé. Ha mostrato di che tempra spirituale era fatto. Aveva fatto nella sua vita quello che insegnava agli altri negli EE.SS. cioè “cercare, trovare e vivere la volontà di Dio”. Per questo la sua vita esprimeva tanta pace. “In tua voluntade, Signore, è nostra pace”.
Signore, secondo il nostro limitato giudizio umano, questo fiore è stato strappato anzitempo dal prato di questo mondo. Egli infatti avrebbe potuto fare, per la tua gloria, ancora tante cose belle. Gli ultimi anni della sua vita tu l’hai purificato e reso ancora più bello, ma come si fa con l’oro nel crogiolo della sofferenza. Noi ci inchiniamo alla tua sapiente volontà. E più che lamentarci per avercelo tolto ti ringraziamo per avercelo donato per tanto tempo e perché lo conservi glorioso per tutta l’eternità.
Prima di finire desidero dire una parola alla mamma di Giuseppe. Cara mamma Elvira, quante le preghiere che hai elevate al Signore per il tuo Pippo! Ti assicuro che esse sono state tutte ascoltate ed esaudite perché Dio ha fatto di tuo figlio un vero - umile apostolo di Gesù e un degno figlio di S.Ignazio.
Amici, ci siamo ritrovati qui per partecipare al mistero eucaristico, che offriamo al Padre per l’anima di p.Ardiri, per ricordare, ma anche per essere noi comunicatori di esperienze vissute insieme a lui e grazie a lui.
Nei tempi e nei luoghi opportuni si manifestino le nostre risonanze per tessere una trama degli edificanti incontri e ricordi che hanno giovato alla costruzione del nostro organismo spirituale.
Io ho dato la mia piccola testimonianza. Ora tocca a ciascuno di voi dare il vostro personale contributo perché si renda giustizia, a gloria di Dio, a questo grande amico, a questa grande figura, a questo uomo di Dio.
E che nulla vada perduto!!!

Padre Carlo Russo S.J.

(1) Omelia pronunciata durante la S. Messa per il trigesimo della morte di padre Ardiri.