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Temi: La Spiritualità Ignaziana







martedì 10 agosto 2010

C. Russo: Ricordando p. Giuseppe Ardiri: un operaio mite e docile (1)

Ricordando p. Giuseppe Ardiri: un operaio mite e docile (1)

È proprio vero che la fede e l’amore uniscono coloro che la morte separa.
“Selezione” del Riders Digest mensilmente presentava un articolo, sempre diverso come contenuto, ma uguale come titolo: “Una persona che non dimenticherò mai”. Erano testimonianze di persone che raccontavano esperienze di incontri straordinari che avevano portato un fecondo-benefico influsso nella loro vita da non poter essere più dimenticate.
Allora, ragazzo, non potevo sapere che questo titolo un giorno l’avrei applicato e dedicato con grande affetto a p. Ardiri.
Noi ci portiamo nel cuore quelle persone che, per il loro costruttivo esempio di vita, hanno depositato in noi tanta ricchezza ma anche tanta nostalgia per la loro partenza. Ci mancano perché sono state troppo preziose alla nostra vita, per i valori che ci hanno trasmesso, per la loro coerenza e per la loro saggezza, ma anche per il loro sostegno, amicale o paterno, stabile e sicuro.
È impossibile per me parlare di p. Ardiri soltanto e come un soggettivo “Sé”, come di uno che costruisce l’immagine di lui con uno sguardo che coglie dall’esterno, ma in relazione a come ho esperimentato in me la sua lunga vicinanza, tanto sono stratificate nel mio animo le numerosissime e comuni esperienze di vita.
Raccontare, quindi, di lui vuol dire parlare anche di me, del mio vissuto con lui.
Non pura e semplice biografia, non raccolta di documenti della sua storia, ma ricordo di un profondo e particolare rapporto esistenziale, all’interno di una uguale e personale chiamata, nello stesso ordine religioso.
Già all’ottava p. Sibilio ha messo in evidenza molti aspetti importanti della vita di Giuseppe, presentandone un quadro bello e interessante, anche se sono convinto che la migliore omelia su di lui è quella che ognuno di voi ha già scritto nel suo cuore e lì la custodisce.
Siamo riuniti qui, attorno alla mensa del Signore, perché vogliamo ricordare e pregare per e con un amico, un fratello, un maestro, un padre…un uomo di Dio che ha fatto della sua vita una continua tensione, un dono d’amore per Dio e per i fratelli. Un uomo che era tutto di Dio e tutto dell’uomo, che metteva Dio al primo posto nella sua vita e che era allo stesso tempo (secondo un’espressione cara e ignaziana) un uomo con gli altri e per gli altri…senza stanchezze, né cedimenti.
Un uomo che ti veniva sempre e subito incontro. Il mio primo incontro con lui avvenne circa quaranta anni fa e subito intuii in lui qualcosa di nobile e di nuovo.
Da poco avevo terminato gli studi di filosofia e il magistero e fui destinato a essere ministro accanto a lui, Rettore. Era un momento molto difficile quello, a causa dello spostamento del Collegio S. Ignazio e del suo inserimento nella grande struttura dell’Ignatianum, Casa con tante opere e con due diverse Comunità che non riuscivano a integrarsi e a trovare una linea di vita unica e comune. Fu quello un lungo periodo di conflitti e tensioni sotterranee fra le Comunità per motivi che sembravano insormontabili.
E p. Ardiri… in questo campo di battaglia, nella ricerca di soluzioni e di accordi per il bene comune, sempre desideroso di essere costruttore e portatore di unione in questa, anche per lui nuova e complessa, realtà.
In questa situazione problematica, a causa della mia giovane età, si rese subito conto della mia inesperienza e delle mie incertezze, e in un sereno e rinfrancante dialogo mi disse:
“Per quanto mi riguarda, ti do ampio spazio di azione e di iniziative. Collabora con me e addossa su di me eventuali malumori o critiche che devi inevitabilmente attenderti dagli altri nella conduzione del tuo compito”.
Ammirai e apprezzai molto questo suo intervento-incoraggiamento (da chi era notevolmente coinvolto in una difficile situazione), tanto che, da quel momento, sperimentai grande serenità, pur nel turbinio degli impegni. Questa fiducia e appoggio potenziarono molto le mie risorse e il mio intuito nella soluzione dei numerosi e delicati interventi.
Intanto l’intesa con lui si arricchiva di grande stima e confidenza, premesse della nostra futura amicizia, mentre cresceva sempre più in me la volontà di stare sempre dalla sua parte in tutto… e davanti a tutti.
Ricordo le Messe celebrate con lui, io ancora …chierichetto; i momenti di preghiera vissuti insieme; le esortazioni spirituali reciproche. Ricordo le incomprensioni e le ingiuste critiche alle quali rispondeva sempre in maniera delicata e costruttiva.
Rammento anche i suoi momenti di stanchezza, dai quali però risorgeva – come d’incanto – più forte di prima.
Per motivi di lavoro abbiamo viaggiato e girato molto insieme. E questo sempre per cercare, trovare, inventarsi delle soluzioni e migliorare così la vita concreta e spirituale della Comunità. E intanto aveva sulle spalle la responsabilità di un Collegio…
Qui, al Gonzaga, dove è stato prima Superiore e poi Rettore, ho vissuto con lui il periodo più lungo. Come sempre aveva una capacità lavorativa straordinaria. Non trascurava nulla per rendere l’Istituto un Centro di formazione integrale, efficace ed efficiente.
Con lui cominciò quel lavorio di formazione spirituale dei docenti, ai quali si sforzò di comunicare quella spiritualità ignaziana che doveva informare l’insegnamento, le attività, gli studi, il lavoro con i ragazzi. In questo contesto si interessava molto del mio compito di animatore spirituale, aveva piacere che lo rendessi partecipe: approvava… e poi mi spronava a non stancarmi di essere sempre più inventivo e creativo.
Qual era il segreto di p.Ardiri?
La sua grande umanità e la sua ricca spiritualità, che facevano di lui il p.Ardiri che conosciamo.
Concepiva il servizio come il dono totale di sé a Dio, come la più grande grazia che si potesse ricevere, la sorte più felice, la sua vera eredità.
Riteneva il servizio a Dio come la vera grandezza dell’uomo, perché è ordine e armonia; perché attraverso il servizio il dono risale a chi lo ha donato.
Mi diceva che si sentiva di vivere come un buon servo nelle mani infallibili del suo Re e Signore.
Viveva il suo servizio apostolico come imitazione e partecipazione all’opera di Cristo.
Mi viene spontaneo fare un riferimento alla visione alla Storta, dove Gesù, portando la croce, dice a Ignazio: “IO voglio che tu ci serva!”.
Chi potrebbe dire che questo comando non sia stato pienamente accolto e vissuto da Giuseppe, fedele e indefesso servitore del magis, della maggiore gloria di Dio? Per questo la sua vita era una continuo servizio di amore per Cristo e di dedizione verso i suoi fratelli. Tutti noi ci siamo resi conto come non c’era nulla e nessuno che potesse impedirgli di sempre intervenire, aiutare, soccorrere, fare del bene.
Per S.Ignazio infatti “l’amore non è un sentimento vago: esso deve dimostrarsi più nelle opere che nelle parole” (EE.SS.230-231).
Giuseppe era l’attualizzazione di una antica e sintetica definizione della carità:
“Caritas oculus vigilans est!”. La carità è un occhio sempre vigile e attento ai bisogni e alle esigenze degli altri, che riesce anche a capire con anticipo.
E i sacrifici, legati al suo instancabile lavoro per gli altri, venivano ricompensati da Dio con quella ricchezza di beni che ricadevano su di lui e sui suoi amici.
Infatti uno strumento quando è unito a Dio è come un cristallo terso e senza deformazioni che fa passare con nitidezza la luce. (Non è difficile provare questa verità perché i frutti sono qui, in mezzo a noi, in noi e parlano da soli… con la nostra orante presenza qui).
Mi piace ricordare Giuseppe come un operaio mite e docile. Di lui mi è stato
detto:”Se aveva un difetto era di essere troppo buono, incapace per natura, ma specialmente per virtù, di fare del male”.
L’unica e la prima volta che egli ha dato un dolore alla mamma, ai suoi familiari, agli amici tutti è stato quando ha chiuso i suoi occhi. Ma dietro l’aspetto di questo uomo mite e buono c’era una tempra di ferro. Un uomo soave… ma determinato, volitivo e forte. Una roccia! Un uomo fondato sul“Magis”, cha sa leggersi dentro, e sostenere una instancabile lotta interiore nella continua ricerca del meglio, di ciò che più piace a Dio, che sa trasformare la fede in vita concreta, che sa ascoltare il Signore che parla alla sua creatura e sa distinguere la Sua voce dalle tante altre che risuonano nel cuore dell’uomo.
“Siamo docili operai di Dio”- mi diceva - e il nostro lavoro diventa incessante perché divino”, secondo le parole di Cristo che guariva anche di sabato: “Mio Padre lavora sempre e anch’io lavoro”, e ancora:“... e non avevano nemmeno il tempo di mangiare” come riferisce Marco.
Grande conoscitore degli Esercizi di S.Ignazio, mi diceva quale grande fascino aveva da sempre esercitato su di lui la “Chiamata del Re eterno:“Chiunque vorrà venire con Me, dovrà similmente faticare come Me di giorno e vigilare la notte, affinché poi abbia parte con me nella vittoria” (n° 93).
Quest’aspetto era un fatto connaturale. “Vieni a distenderti un po’. C’è un ottimo programma in TV!” “No, - mi rispose – perché mi sembrerebbe una perdita di tempo”. Si riposava, sì, ma pensando, programmando e realizzando qualcosa per gli altri.“Sono le tensioni interiori - diceva - che stancano, non il lavoro…specialmente se esso è fatto per amore di Dio”. Possiamo prenderlo come un paradosso, ma sembrava che si riposasse lavorando.
Ricordo qualche altra sua espressione, di tanti anni fa. Era come un motto giovanile:
“Fare degli uomini dei buoni cristiani e di tutti i cristiani dei santi! Far crescere e maturare uomini e donne… appassionati di Cristo, appassionati degli altri.
E il Regno di Dio si popola e si abbellisce, cresce in numero e in merito”.
Ma per fare questo sentiva indispensabile una vita di unione con Dio, la preghiera,la docilità allo Spirito Santo. E allora l’azione diventa contemplativa (e viceversa), si riesce a vedere Dio in tutti e in tutto, e in ogni cosa si scorge il tocco di Dio.
Sappiamo bene che è solo per mezzo di persone carismatiche, di persone spirituali, cioè ricche dei doni dello Spirito Santo come p.Ardiri, che è possibile tale crescita, in quanto le loro vedute intellettuali, i loro giudizi di valore, i loro sentimenti sono misurati sull’ideale di Cristo, alla sua bellezza, alla sua ricchezza, alla sua sapienza. Leggiamo S. Paolo:
“È Dio che per grazia ha costituto alcuni apostoli, altri profeti,
altri evangelisti, altri pastori e dottori…per compiere l’opera del ministero delle anime per l’edificazione del Corpo di Cristo.
È in virtù sua che tutto il Corpo cresce mediante l’attività propria dei suoi membri” (Ef. 4,11-17).
Ho voluto balbettare fin qui qualcosa su p.Ardiri apostolo. Ma che dire sulla sua capacità di ascolto, sul suo spirito di accoglienza, sulla sua sempre pronta disponibilità.
Col suo atteggiamento sereno, aveva il dono di farti sentire tranquillo, quieto, rappacificato. Aveva nell’accoglienza qualcosa in più dello scontato e profondo rispetto da dare a qualsiasi persona. Avvertivi in lui un sereno atteggiamento di disposizione di animo che andava oltre…
Possedeva l’intuito dell’“occhio spirituale” di chi vede negli altri dei figli di Dio, che il Padre manda a te in particolare, per prenderti cura di loro e ciascuno con la sua particolare e irripetibile storia, da accompagnare nel cammino di questa vita, fino alle porte del cielo.
A volte mi chiedevo: “Ma come fa a concedermi tanto tempo e in qualsiasi momento della giornata, quando so che ha un’enorme mole di impegni?”.
Eppure ti faceva sentire a tuo agio, come se tu fossi, in quel momento, l’unico suo pensiero. Per questo credo di affermare il vero se dico che le sue erano “amabili accoglienze”.
E poi arriva al galoppo il grande silenzio!!! Mi ha profondamente toccato e mi ha lasciato stupito l’epilogo della sua vita… un lungo epilogo, che solo in Gesù trova la sua risposta.
Gesù ci ha rivelato ciò che lui stesso ha vissuto per primo: sono l’amore, l’offerta e il sacrificio di se stessi che rendono il proprio apostolato fertile. È la morte a sestessi per amore che porta frutti di vita eterna:
“Se il chicco di grano non muore…!”.
“Anche se dessi il mio corpo a bruciare, ma non avessi la carità…”
È stato l’amore oblativo la molla del suo apostolato, ma c’è una legge della Grazia che ci rivela il suo valore retroattivo circa l’applicazione dei suoi benefici sul proprio trascorso servizio apostolico.
La vita di p. Ardiri, vissuta senza soste, è stata tanto ricca di effetti di grazia, perché è stata innaffiata e benedetta anche dalle sue sofferenze future, di costrizione alla immobilità, di annullamento di sé, di apparente non-senso per la ragione umana, ma colmi di vita eterna per chi ha la fede.
Il Signore ha benedetto il suo passato perché il suo futuro è stata crocifissione accettata e offerta, come quella del suo Signore e Re. ”Quia ipse voluit”.
È l’intenzionalità pura che rende graditi a Dio qualsiasi dono, qualsiasi offerta, qualsiasi sacrificio.
La passione di p.Ardiri è stata un’assimilazione a Cristo sofferente, il destino di ogni anima di lui innamorata. Dio unisce ancor più intimamente al suo figlio Gesù specialmente coloro che chiama a una particolare missione.
Perciò, il suo passato: un dono di amore; il suo futuro: fertile sorgente di grazia.
Lui, guida e maestro delle anime, è diventato il pastore che dà la vita anzitempo, prima di ogni previsione umana, che muore per le sue pecorelle, per i suoi amici e compagni di vita.
Resto molto colpito al pensare che c’è un tipo di morte, che si presenta pur essendoci ancora la vita, nella perdita delle qualità e potenzialità più care e preziose per ogni uomo. Tanto attivo, ha bevuto il calice dell’inattività, la coppa dell’immobilismo; tanto capace nel dire, nel porgere, nell’ascoltare, nell’annunziare, nel discernere ha fatto l’esperienza (consapevole e silenziosa) dell’impedimento al dialogo, alla comunicazione e allo scambio.
Chissà quante volte, nella sua vita, ha elevato con ardore e generosità al suo Signore la preghiera del suo fondatore:
Signore, prendi la mia intelligenza, la mia volontà, la mia libertà, la mia memoria… tutto quello che ho me l’hai donato Tu, a Te lo restituisco.
Dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia. Questo mi basta..
Il Signore lo ha ascoltato!!!... Ha accolto la preghiera del dono di tutto se stesso, che può essere un’offerta che può arrivare fino alla perdita, all’annullamento totale di se stessi. Il suo Signore e Maestro, che lo ha preceduto in questa via, lo ha unito a sé… lui che “Annientò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo il Padre lo ha esaltato!”.
Donazione, passione, croce, morte… glorificazione. Voglio inserire p.Ardiri in questa misteriosa ma vivificante logica divina. Le anime costano!
Se un santo si rivela nel dono totale di sé, nella prova e nella sofferenza (apparentemente inutile), allora non ho paura di affermare che Pippo lo era. Sono per lui le Parole di Dio:
“Chi è quell’uomo che è stato fedele nella prova fino alla fine?
Portatemelo qui e gli darò la corona della gloria”. Oppure:
“Vieni mio servo buono e fedele, prendi possesso del trono preparato per te da tutta l’eternità. Entra nel gaudio del tuo Signore”.
Fratelli, nessun lamento è mai uscito dalla sua bocca, nessuna protesta, come un agnello mansueto, ubbidiente ai Superiori, nell’abbandono fiducioso a Dio… In vita e in morte p. Ardiri è stato per noi tutti un esempio, più che edificante, di dono e di offerta di sé. Ha mostrato di che tempra spirituale era fatto. Aveva fatto nella sua vita quello che insegnava agli altri negli EE.SS. cioè “cercare, trovare e vivere la volontà di Dio”. Per questo la sua vita esprimeva tanta pace. “In tua voluntade, Signore, è nostra pace”.
Signore, secondo il nostro limitato giudizio umano, questo fiore è stato strappato anzitempo dal prato di questo mondo. Egli infatti avrebbe potuto fare, per la tua gloria, ancora tante cose belle. Gli ultimi anni della sua vita tu l’hai purificato e reso ancora più bello, ma come si fa con l’oro nel crogiolo della sofferenza. Noi ci inchiniamo alla tua sapiente volontà. E più che lamentarci per avercelo tolto ti ringraziamo per avercelo donato per tanto tempo e perché lo conservi glorioso per tutta l’eternità.
Prima di finire desidero dire una parola alla mamma di Giuseppe. Cara mamma Elvira, quante le preghiere che hai elevate al Signore per il tuo Pippo! Ti assicuro che esse sono state tutte ascoltate ed esaudite perché Dio ha fatto di tuo figlio un vero - umile apostolo di Gesù e un degno figlio di S.Ignazio.
Amici, ci siamo ritrovati qui per partecipare al mistero eucaristico, che offriamo al Padre per l’anima di p.Ardiri, per ricordare, ma anche per essere noi comunicatori di esperienze vissute insieme a lui e grazie a lui.
Nei tempi e nei luoghi opportuni si manifestino le nostre risonanze per tessere una trama degli edificanti incontri e ricordi che hanno giovato alla costruzione del nostro organismo spirituale.
Io ho dato la mia piccola testimonianza. Ora tocca a ciascuno di voi dare il vostro personale contributo perché si renda giustizia, a gloria di Dio, a questo grande amico, a questa grande figura, a questo uomo di Dio.
E che nulla vada perduto!!!

Padre Carlo Russo S.J.

(1) Omelia pronunciata durante la S. Messa per il trigesimo della morte di padre Ardiri.

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